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fingersi un medico

Quasi tutti gli album della famiglia Romand sono andati distrutti durante l’incendio. Le poche fotografie che si sono salvate assomigliano alle nostre.

Forse resta questo il più bel libro di Emmanuel Carrère: L’avversario, il romanzo che riesce a raccontare il male spogliato dei suoi elementi tragici o fascinosi o ripugnanti, per presentarcelo invece nelle sue vesti dimesse e semplici, così somiglianti ai nostri abiti, alle nostre fotografie di famiglia, alle nostre paure. E quindi, se davvero (come io credo) è questo il più bel libro di Carrère, Jean-Claude Romand, «parricida, matricida, uxoricida e figlicida», ma soprattutto medico immaginario, è il suo personaggio più riuscito, quello che riesce a spalancare una vertigine su noi stessi, a schiudere una fessura attraverso la quale è possibile scorgere i segreti di vite che non sono le nostre (e per fortuna…) ma ci assomigliano.

Di questo personaggio (che finse di essere quello che siete voi che mi ospitate su queste pagine virtuali), di questo terribile assassino su cui Carrère ha costruito il suo libro migliore, si è parlato in questi ultimi giorni, perché l’uomo che gli ha dato le carni e i gesti mostruosi nella realtà è uscito di prigione, dopo 26 anni. Ed è un uomo così semplice, nel suo guardo dimesso, nella sua presenza inutile, così comune e insignificante che finisce per interrogarci molto di più di altri mostri, troppo lontani da quello che siamo o che riteniamo di essere; e che finisce per restituirci un’immagine livida del mondo che abitiamo, secondo me. Se ne parla su Pangea (dell’uomo come del personaggio) grazie a un bell’articolo di Linda Terziroli, che ce lo racconta con la distesa chiarezza che è dovuta in questi casi. Ma che, quasi di nascosto, a un certo punto scrive così (un uomo affettuoso):

Cosa spinge un uomo affettuoso, un padre molto amato, colto, premuroso ma senza titoli e senza impiego, sull’orlo, anzi fin giù nel baratro della follia? Cosa conduce a mentire così spudoratamente a se stessi e agli altri per così lungo tempo?

E poi se ne parla anche su «Rivista studio», grazie a Cristiano de Majo, il quale più esplicitamente (e citando anche una dichiarazione inequivocabile di Carrère) scrive così:

E la cosa che infatti impressiona dell’Avversario, che è anche la ragione della sua potenza letteraria, è il fatto che, rispetto alla parabola di Romand, il lettore prova una doppia distanza: da un lato il raccapriccio e l’estraneità verso una persona che sembra incarnare il male assoluto; dall’altro il dubbio che, a determinate condizioni, chiunque potrebbe trovarsi nella sua situazione, costruendo una rete di bugie, una dopo l’altra, e poi, nel momento in cui tutto inizia a sgretolarsi, scegliendo di cancellare il mondo intorno a sé – ammazzando tutti – invece di accettare la verità.

Jean-Claude Romand, insomma, è uscito di prigione. Anche se, a ben vedere, la sua vera prigione è ormai il libro di Carrère, da cui, io credo, non uscirà mai più. E chissà quante svolte egli stesso ha letto se stesso, in questi anni, quante volte si è riconosciuto, quante volte invece si è sentito diverso e lontano da quel suo omonimo che vive nelle pagine di un romanzo. Un disoccupato che si fingeva medico che si fingeva esperto di investimenti che è diventato egli stesso oggetto di una finzione letteraria che ci ostiniamo a chiamare non-fiction, cioè non-finzione, mentre  chissà quante sono le cose che fingiamo di essere e di non essere, nel frattempo, e le prigioni che fingiamo di non abitare, e le pagine a cui fingiamo di non appartenere, e le vite che raccontiamo a noi stessi di aver vissuto, e i personaggi che fingiamo di non costruire e imprigionare nella nostra memoria, chissà.

Davide Profumo
Davide Profumo
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