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fin sulla luna

«Ma quindi dov’è che vorresti andare?», mi chiede poche sere fa un amico, mentre io mi lamento di come questi mesi mi abbiano stancato, consumato, tolto la voglia di essere dove sono e di spostarmi dove non sono. E io mi fermo e gli rispondo: «Che ne so, sulla luna».

Ma vi mentirei se dicessi che era una risposta sincera. Era una risposta letteraria, in realtà. Perché senza motivo, alzando gli occhi l’altra sera mentre cercavo una risposta che non fosse dettata dalla semplice bile malinconica che mi pervade, ho pensato a un cavallo alato e a cavalieri e poi a guerrieri e donzelle, a elmi e cavalli e improvvise radure piene di fiori, audaci imprese, orizzonti lontanissimi, paladini misteriosi vestiti interamente di bianco, o di nero, nemici feroci e crudelissimi, amori impossibili…

Ho pensato all’Orlando furioso di Ariosto, insomma. E ho anche pensato che, dopo tanti romanzi contemporanei di cui ho lasciato segno in queste pagine virtuali in cui voi cardiologi generosamente mi ospitate, era giunto il momento di lasciarvi, per l’estate che arriva, anche un consiglio di lettura un po’ più impegnativo, qualcosa di serio, di lungo, di complicato.

Ludovico Ariosto, mi sono detto. Che non lo legge nessuno, di cui anche voi non potrete avere che qualche lontano ricordo scolastico, che è invece così straordinariamente bravo. Ludovico Ariosto, quindi: e il suo cavaliere Astolfo che, quasi alla fine del poema, prende il cavallo alato e se ne va sulla luna, lontanissimo, dove si ritrova tutto quello che si è perduto qui, sulla terra, quest’inverno.

Ma non vi fate idee sbagliate. Non è mica l’Orlando furioso che io vi sto consigliando di leggere. (Sarebbe troppo facile, no?). In verità mi è venuto in mento di fare di peggio: e di consigliarvi di leggere le Satire di Ludovico Ariosto, il suo «libro segreto», quello che lui non pubblicò mai perché le parole che vi scriveva erano troppo diverse dalle parole alate del poema dei cavalieri, delle imprese audaci e degli amori idealizzati e bellissimi. Mentre nelle Satire niente è idealizzato: tutto è terreno, tutto è vile, tutto è pieno di bile malinconica e reale.

Ed è appena uscita un’edizione molto bella delle Satire, con una specie di saggio introduttivo scritto da Ermanno Cavazzoni (che è una delle mie segrete passioni, lo sapete già) che ci dice tante cose di questo singolare libro segreto di Ludovico Ariosto. Come questa per esempio:

Le Satire sono pezzetti autobiografici, sfoghi umorali, per dire cosa non va nella vita, le insofferenze, la vita a cui invece avrebbe aspirato, come fosse un colloquio in confidenza con un amico, da tenere riservato… A un poeta [dice Ariosto] conviene gettare i suoi versi nel cesso, imparare a mettere in fresco i fiaschi di vino, badare ai cani da caccia… Sul far carriera, per Ariosto, nessuna voglia di farla. Perché il signore è più vincolato del suo cameriere, il quale se ne può andare a zonzo dove gli piace, a piedi, a cavallo, per le viuzze, o al mercato…

Ma leggete anche il bel pezzo che, a proposito di quest’opera mai pubblicata da Ariosto quando era vivo, scrive Alessandro Banda (qui), lasciandoci intendere che essa è anche un bell’antidoto per noi che viviamo in tempi di politicamente corretto e cancel culture di ogni genere.

Eppure il vero motivo per cui a me è venuto in mente di consigliarvi questo strano libro, per questa nuova estate che mi auguro meno strana, è un altro; ed è quello che in poche righe scrive Alfonso Berardinelli (qui) mentre in qualche modo ridimensiona con garbo il valore letterario delle Satire di Ariosto:

Il grande inventore di avventure fantastiche, che è Ariosto nel più vertiginoso intreccio di vicende inventate nella letteratura europea, quando compone le sue Satire è semplicemente se stesso. Scrive per lamentarsi. Si giustifica, si difende, si ritrae come un uomo che è nemico delle ambizioni illusorie, smodate e vane. La sua critica del potere e della società è assolutamente personale e sincera… Il suo umanesimo antieroico è una difesa della semplice umanità dell’uomo comune, che nella sua quotidianità è tale anche se coincide con l’autore di un capolavoro poetico…

Dice Berardinelli che Ariosto voleva solo «essere lasciato in pace». Mi pare un’ambizione altissima, se penso a noi e al mondo che abitiamo: mi pare il più irrealizzabile di tutti i desideri umani.

Forse è per questo che Ariosto non pubblicò mai le Satire: lo sapeva anche lui. Ma questo libro che esce adesso ci fa entrare nel suo mondo (che è anche il mondo del suo meraviglioso poema, l’Orlando furioso) attraverso la cesta dei panni sporchi, starei per dire. E noi, attraverso i cattivi odori e i cattivi umori del suo autore, forse possiamo cogliere la straordinaria invenzione del poeta, che suscita orizzonti lontani e audaci imprese dal fondo della sua prigione, che inventa tutto, donne bellissime e cavalli alati, che prende la sua esistenza miserabile e segreta e la fa diventare incredibile letteratura…

Le Satire sono la stanza segreta e fetida di uno dei più straordinari e lievi poeti della storia occidentale. Spero vi possano fare un po’ di compagnia per quest’estate. Spero vi possano far sentire il prodigio dell’invenzione letteraria: che da quel fondo parte ed è poi capace di arrivare lassù, con ali immaginarie, fin sulla luna.

 

[L’Oblò chiude per qualche settimana, anche quest’anno, come più o meno accade ogni estate. Ritornerà nella seconda metà di agosto, un po’ in anticipo rispetto alla fine delle vacanze. È una consuetudine che mi piace: come essere tra quelli che per primi arrivano e riaprono le finestre di casa e si preparano a ricominciare. Buone vacanze a tutti, quindi.]

Davide Profumo
Davide Profumo
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