Estensione dell’infiammazione a tutto l’albero coronarico nel corso di una sindrome coronarica acuta
M. Lettino
La presenza di piu’ placche attive nelle coronarie di soggetti con infarto acuto, con il rilievo di apposizioni trombotiche in piu’ sedi, e’ gia’ stata documentata da studi angioscopici e angiografici. Nel 2002 Rioufol e collaboratori hanno riportato il risultato della valutazione sistematica con ultrasonografia endovascolare delle tre coronarie di 24 pazienti di sesso maschile con infarto miocardico acuto (IMA) indirizzati al Laboratorio di Emodinamica per una angioplastica primaria . Gli Autori hanno segnalato il rilievo di piu’ di una placca coronarica ulcerata in oltre il 79% dei casi, piu’ spesso in due coronarie distinte, e l’interessamento dei tre vasi nel 12.5% dei casi, concludendo che si poteva ipotizzare una “instabilizzazione pancoronarica” nella maggior parte dei pazienti, benche’ le manifestazioni cliniche di ischemia fossero attribuibili ad una sola lesione colpevole.
Lo scopo dello studio di Mauriello e dei suoi collaboratori e’ quello di definire dal punto di vista istopatologico una sorta di “geografia” dell’infiammazione dell’albero coronarico dei pazienti con IMA, esplorando per la prima volta in tutti i segmenti vasali non solo i potenziali infiltrati flogistici cellulari nelle placche che manifestano vulnerabilita’ ma anche in quelle finora definite stabili. In altre parole gli Autori ipotizzano che il concetto di “infiammazione diffusa nell’albero coronarico” dei soggetti deceduti per infarto e’ sostenuto non solo dalla presenza di placche vulnerabili multiple, ma piu’ estesamente da un diffuso infiltrato cellulare di qualsiasi placca ateromasica e quindi anche delle placche stabili localizzate a grande distanza dalla lesione responsabile dell’evento ischemico.
Non e’ solo questione di placche vulnerabili
Gli Autori dello studio hanno esaminato 544 segmenti coronarici provenienti dall’autopsia di 16 pazienti deceduti per IMA e 413 segmenti di pazienti appartenenti al gruppo di controllo rappresentato da cardiopatici ischemici cronici morti per cause diverse dalla patologia cardiovascolare e da pazienti non cardiopatici. Come e’ facilmente immaginabile il numero delle placche vulnerabili che si aggiungono a quella responsabile dell’evento acuto e’ significativamente piu’ elevato nei pazienti deceduti per IMA, con una media di segmenti “vulnerabili” di 6.8 ± 0.5 per ciascuno di essi versus 0.8 ± 0.3 e 1.4 ± 0.3 rispettivamente nei soggetti con angina stabile da sforzo e nei pazienti senza evidenza clinica di cardiopatia ischemica.
La vera differenza sta pero’ nell’entita’ globale dell’infiltrato infiammatorio costituito essenzialmente da macrofagi CD68-positivi e linfociti T attivi, identificati sia nei segmenti vulnerabili che in quelli apparentemente stabili e in questi ultimi la stessa risulta essere dalle tre alle quattro volte superiore a quanto si osserva nel gruppo di controllo. Le immagini dei preparati istologici riportate nella pubblicazione sono assai rappresentative dei risultati: le colorazioni impiegate rendono facilmente riconoscibili gli elementi cellulari e l’impiego di specifici anticorpi monoclonali legati ai cromogeni identifica l’espressione di antigeni di superficie che sono indicatori di attivita’.
Una “coronarite” su base aterosclerotica
Nei pazienti con sindrome coronarica acuta la flogosi coronarica sta alla base dell’evento aterotrombotico che causa le manifestazioni cliniche della malattia. Il processo che conduce alla rottura della placca e’ gia’ stato ampiamente studiato e se ne conoscono molti passaggi. La rottura di placca coesiste con numerose cellule infiammatorie e soprattutto con la presenza di macrofagi che sintetizzano e rilasciano fattori di crescita e secernono metalloproteinasi, che a loro volta indeboliscono il cappuccio fibroso della placca stessa. I linfociti T attivati producono citochine che contribuiscono alla instabilizzazione, passando ancora attraverso l’attivazione dei macrofagi e la stimolazione delle cellule muscolari liscie. La presenza di un infiltrato flogistico anche in sedi diverse da quelle della placca ulcerata suggerisce l’ipotesi che cio’ che da’ origine all’intero fenomeno sia qualche cosa di sistemico che puo’ raggiungere diverse lesioni contemporaneamente e condurne potenzialmente solo una alla complicanza finale. Alla luce dei dati del lavoro e’ possibile riconsiderare la responsabilita’ di sostanze tossiche, come le LDL ossidate, o di un agente infettivo come la Clamidia, anche se in quest’ultimo caso gli ultimi trial clinici con l’impiego di farmaci antibiotici non hanno dato risultati favorevoli.
In conclusione non e’solo la presenza di placche vulnerabili a rendere il paziente a rischio per un evento ischemico potenzialmente fatale ma soprattutto l’attivazione di un processo flogistico che coinvolge l’intero albero coronarico e che conduce alla instabilizzazione di una delle placche vulnerabili presenti. Gli obiettivi della ricerca in questo settore non possono pertanto limitarsi ad ottimizzare l’identificazione delle placche vulnerabili in vivo, ma devono mirare anche all’identificazione di marker precoci di attivazione della flogosi per consentire un intervento terapeutico preventivo veramente efficace sull’evento ischemico acuto.
BIBLIOGRAFIA
Rioufol G, Finet G, Ginon I, et al. Multiple atherosclerotic plaque rupture in acute coronary syndrome: a three-vessel intravascular ultrasound study. Circulation. 2002;106:804-808.
Mauriello A, angiorgi G, Fratoni S et al. Diffuse and active inflammation occurs in both vulnerable and stable plaques of the entire coronary tree. JACC 2005; 45: 1585-93