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essere e non essere

«Compro soltanto libri che contengano la parola “morte” nel titolo», diceva Woody Allen alla da poco conosciuta Diane Keaton, in una splendida scena del film Io e Annie, se non mi ricordo male (ma spero proprio di ricordarmi bene). E così anch’io, ma solo per oggi, ho intenzione di proporvi esclusivamente post che parlino in qualche modo della fine che ci toccherà fare (volenti o nolenti, ci toccherà…), prima o poi, alcuni sperano prima noi speriamo poi.

 

Il primo, in omaggio all’annus horribilis 2016, è dedicato ai necrologi, vero e proprio genere letterario, e all’arte di scriverli, anche quando il soggetto deceduto sia effettivamente ancora in vita (troppi necrologi di Fidel Castro sono apparsi qualche appena qualche minuto dopo la notizia ufficiale della sua morte, per non farci sorridere mentre volevamo commuoverci – o esultare, qualcun altro). Ne parla oggi Francesco Longo, che racconta alcuni aneddoti gustosi (di necrologi sbagliati o di defunti mai defunti) ed esordisce così, condivisibilmente:

 

Scrivere gli obituary – i ritratti di personaggi illustri appena morti – è il rito del giornalismo che più si avvicina all’arte letteraria. Il termine italiano per questo tipo di articolo è “coccodrillo”, il nome si riferisce alle lacrime che il coccodrillo verserebbe in modo ipocrita, dopo aver divorato la vittima. Nel coccodrillo perfetto piccoli dettagli della persona descritta devono suggerire più di carriere intere già note a tutti. Un vezzo deve illuminare un carattere eccezionale. Un aneddoto o una frase attribuita alla celebrità scomparsa hanno il compito di disegnare una parabola umana che spesso ha segnato un’epoca. Il risultato è che leggere un resoconto della vita di chi è appena morto sembra a volte il modo migliore per sapere in che mondo viviamo.

 

Ma voi siete medici (o almeno lo sono coloro che mi ospitano su queste pagine virtuali e dovrebbero con più assiduità leggermi) e quindi con la morte avete in qualche modo un rapporto privilegiato (non so se si possa proprio dire così…) Per cui non stupitevi se Astutillo Smeriglia, con il tono caustico che gli è proprio, se la prende proprio con voi quando decide di parlare della sua propria morte. E non stupitevi se mi sento di dovergli dare, per molte cose, ragione:

 

Quello che mi preoccupa non è né il dover morire né l’essere morto, ma il passaggio da una cosa all’altra, perché non tutti hanno la fortuna di morire sul colpo e oggi è molto facile finire nelle mani di uno di quegli aguzzini che la società ha incaricato di farti soffrire il più a lungo possibile. Un tempo c’erano i boia, oggi ci sono i medici…

 

Eppure, non ci sono solo necrologi e sofferenze. C’è anche la poesia (aveva dunque ragione Woody Allen, come spesso gli è accaduto); e se aveste voglia di riprendervi un po’ dopo le precedenti funeree letture, ecco cosa potete fare: leggere lo splendido commento che Antonio Prete ha dedicato a uno dei versi poetici più belli della nostra storia letteraria. È un verso che parla degli occhi di una ragazza morta e li descrive come sembra quasi impossibile poterlo fare, se non si è un conte gobbo e disgraziato e non ci si chiama Giacomo Leopardi. Trovate il commento (più una memorabile digressione, in effetti) a questo indirizzo virtuale. E io credo che potrà ampiamente consolarvi di tutti i brutti pensieri che i post precedenti vi avranno fatto fare: si chiama letteratura, funziona così, consola di tantissime cose orrende e non muore se non alla fine dei tempi. E meno male che c’è, penso sempre io:

 

In un verso, in un solo verso, un poeta può rivelare il suo sguardo, in grado di rivolgersi all’enigma che è il proprio cielo interiore e al movimento delle costellazioni, alla lingua del sentire e del patire di cui diceva Leopardi e all’alfabeto degli astri di cui diceva Mallarmé. E un verso, un solo verso, può essere il cristallo in cui si specchiano gli altri versi che compongono un testo. Per questo da un verso, da un solo verso, possiamo muovere all’ascolto dell’intera poesia.

Davide Profumo
Davide Profumo
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2 Comments

  1. Mattia ha detto:

    Magnifico il commento di Antonio Prete. Grazie della segnalazione. A proposito di letteratura che consola e di letteratura oltre la morte, poi, mi è venuta in mente una bella poesia di un autore di cui si è scritto più volte anche qui. Parlo di Caproni e del suo Invito al valzer: «In Terra di Letteratura. / Con la Volpe e il Fagiano. / Vieni. Dammi la mano. / Là non esiste paura».

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