la risposta
15 Novembre 2017Progetto Consensus – La gestione ottimale del paziente con sindrome coronarica acuta
15 Novembre 2017A cura di Claudio Cuccia
Orbita nasce da orbis, ruota, una ruota robusta che a suo tempo lasciava il segno nelle strade fangose o sui selciati delle vie maestre. L’orbita odierna richiama invece lo spazio, sia il reale che il figurato, uno spazio, quest’ultimo, dove si muovono le notizie, le importanti e le banali, entrambe nuovamente pronte a lasciare il segno. Ed eccone una molto curiosa, di notizia, una che oserei chiamare esorbitante!
Mi riferisco, guarda caso, allo studio ORBITA1 (The Objective Randomised Blinded Investigation with optimal medical Therapy of Angioplasty in stable angina trial), un trial che giunge d’Oltremanica, uno studio dove il doppio cieco è un cieco perfetto, visto che in cieco c’è addirittura l’angioplastica… Mi spiego meglio, sintetizzando l’impianto dello studio:
- I pazienti (230), dai 18 agli 85 anni, per essere arruolati dovevano avere angina o sintomi equivalenti (stabili) e lesioni, in un singolo vaso, angiograficamente significative (>70%) e ritenute suscettibili di angioplastica.
- Venivano trattati farmacologicamente nel migliore dei modi, per almeno 6 settimane, e a questa fase di ‘ottimizzazione’ terapeutica seguiva una fase di ‘definizione del grado di malattia’ (questionari clinici, ECG, rilievi pressori, test cardiopolmonare e valutazione dell’estensione ischemica mediante eco stress).
- Tutti i pazienti venivano quindi sottoposti a studio invasivo dell’FFR e dell’iFR, dopodiché venivano randomizzati a PCI (la migliore possibile) oppure a ‘placebo procedure’.
- Nessuno dello staff che riceveva il paziente dopo l’esame emodinamico sapeva che cosa il paziente avesse fatto, e non lo sapeva nemmeno lui, il povero paziente.
- Dopo altre 6 settimane di un rigoroso, attentissimo follow-up, i pazienti tornavano in ospedale per essere nuovamente testati sul grado di malattia, per definire, una volta per tutte, quale fosse il risultato di quanto fatto, di invasivo o ‘quasi invasivo’.
L’end point primario pre-specificato era la differenza dell’incremento del tempo all’esercizio e gli end point secondari le modifiche del peak VO2, il tempo di comparsa del sottoslivellamento ST durante l’esercizio, il grado di angina secondo la Canadian Cardiovascular class, le modifiche del wall motion score index allo stress-eco, e altro ancora.
Ebbene?
«There was no significant difference in the primary endpoint of exercise time increment between groups (PCI minus placebo 16.6 s, 95% CI –8.9 to 42.0, p=0.200)». Non solo… «Secondary endpoint analysis showed no significant difference between the groups in the change in the time to 1 mm ST depression (p=0.164) or change in peak oxygen uptake (–12.9 mL/min, 95% CI –90.2 to 64.3, p=0.741)». Non ci sono state inoltre differenze tra i pazienti dei due gruppi in termini di miglioramento della classe funzionale né nella manifestazione di angina. È migliorato soltanto il wall motion score index al picco dell’eco-stress, e questo nei pazienti sottoposti ad angioplastica (–0.09, 95% CI –0.15 to –0.04, p=0.0011).
Insomma, nonostante i sintomi, le lesioni coronariche anatomicamente e funzionalmente significative, la procedura invasiva non sembra aver prodotto un granché. “Un granché” rispetto però a una terapia medica che è veramente la migliore possibile, tanto da far dire agli autori che, pur a distanza di 40 anni dalla prima angioplastica, «sembra proprio ci sia ancora bisogno di un trial in doppio cieco per capire come stiano veramente le cose».
Non si può certo dimenticare che nell’ORBITA il gruppo placebo è stato trattato col placebo perfetto, una finta PCI… un placebo d’effetto! È altresì vero che i dati dello studio, che poggiano, sia chiaro, su un follow-up di sole 6 settimane – e in pazienti con sindrome coronarica stabile –, tornano a dire che il beneficio di una procedura invasiva deve essere cercato laddove la terapia medica sia la migliore possibile, titolata in modo esemplare come risulta dal protocollo dell’ORBITA.
In conclusione, miei cari, se si vuol spiccare il volo nello spazio della rivascolarizzazione, le orbite andranno tracciate per bene, siano testate e ritestate, magari… col placebo perfetto.*
*Placebo. Vd. Omeopatia e vedi fin d’ora di sostituirlo con un amabo, un amerò, parola magica che a suo tempo (che tempi!) significava pure per favore.
Da Le parole del cuore, ed. Il Mulino 2017, di un autore sconosciuto.
Bibliografia
- Al-Lamee R. et al. Percutaneous coronary intervention in stable angina (ORBITA): a double-blind, randomised controlled trial. Published Online November 2, 2017 http://dx.doi.org/10.1016/ S0140-6736(17)32714-9.