Novità in tema di cardioversione: Lo studio EMANATE
8 Settembre 2017Rischio infiammatorio residuo: L’altro aspetto della prevenzione secondaria
11 Settembre 2017Fosse soltanto per me, della giornata di oggi vi direi che è il giorno in cui Franco Fortini avrebbe compiuto un secolo di vita: era nato infatti il 10 settembre del 1917 a Firenze, città di cui stiamo parlando per altre ben più misere ragioni, in queste ore. E vi segnalerei una cascata di versi di questo grandissimo poeta che io mi ostino a considerare uno dei quattro o cinque più grandi di tutto il Novecento…
Ma non è soltanto per me, appunto. E altre ragioni, altre sofferenze (terribili sofferenze) urgono dalle pagine della cronaca in questi giorni (sofferenze che il poeta avrebbe affrontato con l’asprezza della sua intransigenza letteraria, me lo immagino), tanto che verrebbe voglia di non parlarne nemmeno del centenario della nascita di Fortini (queste francamente così fastidiose ricorrenze) e chiuderla lì. Ma sarebbe un errore; e anche un errore grave. Perché è spesso proprio nella letteratura (e non di rado proprio nella poesia) che le questioni altrimenti indicibili trovano le parole, trovano il loro racconto o, come probabilmente direbbe Fortini, trovano la loro «verità».
E la verità oggi ha il nome di colui che fondò un intero mondo, portando da Oriente i suoi uomini e le sue donne, i suoi giovani ragazzi, per costruire una città che sarebbe diventata, nelle parole «vere» della poesia, il cuore dell’Occidente, il nostro universo, la tradizione che ogni tanto ci vien detto di difendere, la terra che egli disperatamente cercava e che trovò, proprio qui, proprio in quello che oggi è il nostro paese. Si chiamava Enea, era un profugo, fu cantato da Virgilio, ne trovate scritto oggi nel brano che sta appena qui sotto, ma la sua intera storia (di uomo che fugge da una guerra, da una strage, da una città in fiamme, portando il padre sulle spalle, disperato, senza trovare accoglienza in nessuna terra, perdendo la moglie e gran parte degli amici e la ricchezza e tutto) la sua intera storia (perdonatemi la sfacciataggine della segnalazione) è raccontata in questo altro libro qui. Che speriamo di non dimenticarci mai.
A fondare la civiltà che per Virgilio doveva costituire il vertice e la soluzione del cammino umano (Imperium sine fine dedi) c’è un esule fuggiasco, uno sconfitto, uno scarto che, al apri del pastore della prima Ecloga, può parimenti piangere Nos patria fugimus. È a lui che il Fato chiede di essere il seme evangelico che deve spezzarsi per portare molto frutto: uno spezzarsi che è scandito dalle due parti del poema, rispettivamente di sei libri ciascuna, e che ha come asse appunto la discesa nel regno dei morti. Nella fuga da Troia le tre scansioni temporali dell’esistenza personale e collettiva sono riassunte plasticamente nell’immagine di Enea che regge il padre sulle spalle e accompagna per mano il figlioletto. Passato, presente e futuro. Fino alla discesa agli inferi, dove ritroverà appunto il padre ormai defunto, la grande comprensibile tentazione del fuggiasco sarà quella di ripiegarsi sul passato. I Troiani superstiti vagano per il mare stanchi e laceri come spettri. È il dramma di ogni fondatore, quello di trovare nelle ceneri del passato il seme del futuro, dentro e fuori di sè. Nella distruzione di Troia, il vecchio Anchise vorrebbe essere lasciato a sua volta lì a morire. È solo quando scorge un segno sui capelli del nipote, che accetta di partire, e continuare a scrutare il mondo in cerca di altri segni, auguria, auspicia, che permettano di fare un altro passo, e un altro passo ancora. Il Terzo Libro del poema, col Mediterraneo percorso a tappe da questi uomini e donne stanchi, con la Terra Promessa che si mette progressivamente a fuoco tra profezie, errori e maledizioni, oggi dovrebbe essere recitato da un Siriano o Somalo per tornare a stagliarsi in tutta la sua forza e il suo strazio.
E ora, detto questo, anche Fortini. Nelle belle parole di Luca Lenzini e nei versi di una delle sue poesie testamentarie più intense e commoventi (Proteggete le nostre verità…). Oppure, per i cultori più accaniti, anche nel sito della rivista online «L’ospite ingrato», che ne coltiva le parole e la memoria. Ospite anche lui, esule anche lui, come probabilmente tutti noi, tra l’altro.