A cura di Claudio Cuccia
Paracelso amava ripetere un ritornello che l’avrebbe reso famoso: «dosis sola facit ut venenum non fit». Attenti a non darne più del necessario, di farmaco, diceva, attenti ai suoi effetti secondari, soprattutto, aggiungiamo noi, se saranno sanguinolenti. Sarà il timore delle rivalse, sarà la pigrizia dell’uomo panciuto, saranno entrambi i motivi o altro ancora, certo è che oggi la storiella del veleno risuona spesso nelle nostre orecchie, tanto che si tende a utilizzare i farmaci a dose «INCR» (Importante Non Correre Rischi): alta qualità a costo zero (di rischio), ecco cosa si vorrebbe.
Nel paziente con tromboembolismo venoso, grazie all’arrivo trionfale degli anticoagulanti diretti (NAO), i timori del sanguinamento si sono di gran lunga attenuati rispetto ai tempi in cui regnavano i vecchi anticoagulanti orali (VAO – 1 -). Ciononostante, anche nel paziente «venoso», l’eccessivo ricorso alla bassa dose è sempre in agguato.
Allora, qual è la dose giusta? Quale sarà soprattutto nei pazienti che dovranno proseguire, magari sine die, l’anticoagulazione dopo l’evento trombotico o embolico? L’EINSTEIN CHOICE (2) affronta il problema e, dato il riferimento al genio di Ulma, ci si aspetta dallo studio l’indicazione di una scelta intelligente.
Lo studio, randomizzato, in doppio cieco, si può così sintetizzare:
Si è trattato di una popolazione a basso rischio, relativamente giovane (età media di 58 anni), con buona funzione renale (il 95% con filtrato >50 ml/min.), 50% con embolia polmonare isolata o con associata TVP e 50% con solo TVP, con tromboembolismo nel 60% dei casi provocato.
Le immagini parlano chiaro, sia in termini di efficacia che di sicurezza.
Efficacia → 1.5% di eventi tromboembolici con rivaroxaban 20 mg, 1.2% con rivaroxaban 10 mg, 4.4% con la sola aspirina.
(embolie fatali 0.2% con 20 mg, nessuna con 10 mg, 0.2% con aspirina, senza particolari differenze tra evento indice TVP oppure EP.)
Solo nei pazienti trattati con l’aspirina si notava una differenza negli end-point di efficacia se l’evento indice fosse la TVP (3.6% di eventi) o l’EP (5.6% di eventi), mentre con entrambi i dosaggi di rivaroxaban non si notava differenza in relazione al tipo di evento indice.
Sicurezza → major bleeding nello 0.5% dei pazienti con rivaroxaban 20 mg, 0.4% con 10 mg, 0.3% con aspirina.
Le informazioni che ci offre lo studio sono proprio rincuoranti (verrebbe da dire rimpolmonanti…), viste l’efficacia e la sicurezza del rivaroxaban nell’ambito di una malattia tanto disposta a regalare recidive. Significa che potremo dare rivaroxaban 10 mg a tutti? No, lo studio non ha la potenza necessaria per stabilire la non inferiorità dei 10 mg rispetto alla dose standard di 20 mg; per ora possiamo però dire che anche una dose ridotta di rivaroxaban garantisce un risultato migliore di quanto, per esempio, possa fornire l’aspirina. Questo potrebbe incoraggiarci a trattare con rivaroxaban i pazienti per i quali ci limitavamo alla terapia con la sola aspirina. I ricercatori dell’EINSTEIN CHOICE stanno analizzando gli eventi nei sottogruppi a maggior rischio e tra un po’ anche per questi pazienti forse ne sapremo di più (3). Comunque sia, possiamo dire che si è iniziato il cammino alla ricerca della dose giusta, una dose in relazione al rischio, com’è giusto che sia, nel rispetto del pensiero di Einstein, Albert Einstein, il genio della relatività.
Bibliografia