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19 Maggio 2016A cura di Claudio Cuccia
«Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?» Chi non ricorda una delle frasi più celebri di Nanni Moretti, vecchia di quasi quarant’anni (Ecce Bombo, 1978) e attuale più che mai? La frase ora sembra calzare a pennello per il D-dimero, il più famoso dei prodotti della degradazione della fibrina. Fino a poco tempo fa, infatti, il D-dimero contava solo se non c’era, la sua ‘negatività’ faceva risparmiare un sacco di tempo quando sorgeva il sospetto di un’embolia polmonare. Ora, invece, anche la sua presenza comincia a farsi valere. Vediamo dove e vediamo perché.
Nei pazienti in fibrillazione atriale conoscere quale sia il rischio tromboembolico non è cosa da poco; è vero, abbiamo il CHA2DS2VASc, ma spesso, di fronte ai suoi punteggi bassi, decidere se anticoagulare oppure no non è scelta facile. Ecco presentarsi il D-dimero, eccolo offrirsi come marker prognostico nei pazienti fibrillanti. Agneta Siegbahn, svedese di Uppsala, in compagnia di illustri esperti (avrà fatto tutto lei e gli altri avranno solo messo la firma?), descrive il comportamento del D-dimero nei pazienti con fibrillazione atriale anticoagulati e arruolati nello studio RE-LY (1). I pazienti più anziani, quelli con i valori di CHA2DS2VASc più elevati, con un filtrato renale ridotto e le donne, presentavano i valori basali di D-dimero più alti.
Nei pazienti anticoagulati con warfarin o dabigatran, i valori di D-dimero correlano in modo indipendente col rischio di stroke o di embolia sistemica (e anche con quello di morte cardiovascolare e di emorragia maggiore, non riportate nella figura), e sempre se in associazione ad almeno un altro fattore di rischio di stroke. Il dato, come abbiamo detto, può essere di grande aiuto soprattutto quando il valore del CHA2DS2-VASc non pare sufficiente a confermare la necessità dell’anticoagulazione.
Dabigatran riduce i livelli del D-dimero molto meglio di quanto non faccia warfarin, a dimostrazione del suo effetto maggiore nella prevenzione del tromboembolismo e della mortalità cardiovascolare (150 mg) e delle emorragie maggiori (110 mg).
A supporto della sicurezza sul versante dei sanguinamenti – soprattutto gli intracranici –, i livelli di fattore VIIa risentono ben poco dell’anticoagulante diretto, a differenza di quanto invece accade con warfarin.
Il D-dimero torna quindi a farsi sentire, e come sempre ci aiuta quando il dubbio affiora, il sacrosanto dubbio del «farò bene o farò male?»
Insomma, per buona pace anche di Nanni Moretti, se è vero che i medici a volte non sanno ascoltare, è altrettanto vero che studiano, leggono, pensano, e fanno di tutto perché i farmaci siano dati a ragion veduta, non siano inutili e ancor meno siano dannosi.
Una cosa però l’ho imparata da tutta questa vicenda. No, anzi, due. La prima è che i medici sanno parlare, però non sanno ascoltare, e ora sono circondato da tutte le medicine inutili che ho preso nel corso di un anno. La seconda cosa che ho imparato è che la mattina, prima della colazione, fa bene bere un bicchiere d’acqua.
Nanni Moretti, Caro diario
Si brindi al D-dimero, con qualcosa di meglio di un bicchier d’acqua!
Bibliografia
- Siegbahn A. et al. D-dimer and factor VIIa in atrial fibrillation – prognostic values for cardiovascular events and effects of anticoagulation therapy. A RE-LY substudy. Thromb Haemost 2016;115:921-930.