A cura di Claudio Cuccia
Non so a voi, ma a me piange il cuore quando un paziente con uno STEMI chiama presto e giunge tardi all’angioplastica primaria (pPCI). Che poi il cuore che piange è quello del paziente, una strana figura che tutti giurano* di mettere “al centro”, manco fosse una palla appena uscita dalla rete – quando invece c’è appena entrata, nella rete… –.
* Bugia è una lemmino musicale, all’apparenza innocuo, ma dice che sotto sotto c’è della malvagità: poca, ma c’è. Nasce, bugia, dal tedesco antico bôsa, che significa cattivo: sempre loro, a generare parole maligne (per esempio guerra, che nasce da ẅerra, che vuol dire mischia, la mischia tedesca).
A proposito di guerra, ricordate quella storica tra trombolisi e angioplastica primaria? Nonostante le dichiarate buone intenzioni perché al centro ci fossero sempre e soltanto il paziente e il suo cuore, le opposte fazioni vedevano o solo l’una o solo l’altra terapia a contendersi la preda.
Ciò che stupisce è che ci sia ancora qualcuno che si pone il problema – trombolisi (PhI) e/o angioplastica (pPCI)? – gente che vive lontano da qui, è vero, vive in Cina, ma sembra desideri far le cose per bene. Il pensiero, una sorta di nostalgia, va quindi allo studio EARLY-MYO,1 un nome che, tradotto male, ricorda proprio chi voleva il paziente per sé, lo voleva tutto e lo voleva subito.
Il trial, per fortuna, suggerisce altro. Eccone una sintesi:
Ebbene, stupirà i giovani, persone di una generazione poco avvezza – né istruita – alla terapia riperfusiva farmacologica, leggere le conclusioni del lavoro, che recitano testualmente:
“For patients with STEMI at low risk presenting ≤6 hours after symptom onset and for whom the expected PCI related delay was ≥60 minutes, a PhI strategy with halfdose alteplase and timely PCI offered more complete epicardial and myocardial reperfusion when compared with PPCI. Particularly relevant to emerging countries with limited health budgets and not well-organized STEMI networks for PPCI, the results of our study suggest PhI therapy as a viable strategy for patients with STEMI who cannot receive timely PPCI”.
Le figure seguenti descrivono i principali risultati ottenuti.
Al lavoro segue un commento editoriale redatto da due vecchie glorie della trombolisi, Paul W. Armstrong e Robert C. Welsh, che pur sottolineando i limiti dello studio, ricordano come la strategia da percorrere sia la riperfusione, la più appropriata e tempestiva, e non la scelta dell’una o dell’altra delle strategie, e a prescindere. Ricordano anche che i tempi cambiano, e presentano una tabella che vuole indicare la strada della ricerca futura (vedi Tabella). Non dimenticano di rammentare però che la trombolisi… is not inferior — and on occasion is even superior — to PPCI, nor need it be relegated to rural centers or developing countries given the persisting delays in transfer of patients with STEMI for PPCI from non-PCI centers and the attendant unfavorable outcomes.7,8 Not all things come to those who wait, especially in early presenters and those with a large territory at risk where acceptable PCI-related delays are recommended to be even shorter (ie, 60 minutes).
Qual è il senso della notizia? Da una tribuna autorevole, Circulation, nasce un richiamo agli attori della rete dello STEMI perché diano nuova vita al dubbio, il dubbio di cosa sia meglio per il paziente, un paziente veramente “al centro dell’attenzione” e non oggetto di scherno, come si rischia di fare e come qualche burlone, parlando di reti, sembra volerlo descrivere, magari a solo scopo elettorale.
PCI (e MSI). Viviamo l’era degli acronimi, dove àcron è l’estremità e ònoma il nome, a dire che si prendono i nomi e se ne assemblano le lettere iniziali, come a suo tempo si fece per la Fabbrica Italiana Automobili Torino. Perché le parole del cuore dovrebbero uscirne indenni? Gli acronimi si divertono poi a fare trabocchetti, a volte simpatici, altre volte meno (per esempio, io mi iscrissi al Centro Universitario della Lombardia Orientale, poi trasformato in Ente: se pensate all’acronimo, vi chiederei di risparmiare l’ironia sulla mia formazione medica). Torniamo al cuore, nel cui universo il PCI non è un malinconico pensiero rivolto a Peppone, e tanto meno l’MSI si riferisce ad Almirante e ai suoi squadristi. No, PCI sta per percutaneous coronary intervention, l’angioplastica coronarica e MSI altro non è che il mezzo di soccorso infermierizzato. L’uno, l’MSI, porta i pazienti all’altro, al PCI, a dimostrazione che solo la malattia, com’è giusto che sia, chiude il cerchio degli opposti estremismi.
Da “Le parole del cuore”, ed. Il Mulino 2017, di un autore misterioso.