immaginare le soluzioni (tutto è come qualcos’altro)
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due stranieri

Mi è immediatamente sembrato bello, quando ci ho riflettuto, che a iniziare l’anno fosse un grande scrittore, e magari non uno di quelli più citati, e però uno di quelli che da ragazzo ho amato di più, e infine uno di quelli che non ho mai smesso, a larghissimi intervalli, di leggere e rileggere, sperando sempre di trovarci qualcosa che assomigliasse alla verità. E quando ho letto che l’altroieri, 4 gennaio, ricorreva il sessantesimo anno della morte di Albert Camus (ah, le ricorrenze, queste scansioni impietose del tempo, questa memoria artificiale che ci insegue e ci artiglia alle caviglie, queste occasioni di marketing e di facili commozioni e scuotimenti del capo e immediato oblio, ah le ricorrenze!), mi sono detto che era con lui che volevo iniziare il mio anno letterario, con i suoi libri. Lo straniero, naturalmente, che lessi per primo, il cui incipit fu una delle citazioni che usavo di più al liceo, con il mio amico compagno di banco («Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so.»), ma anche Il mito di Sisifo, che lessi incantato tanti anni dopo, così come ovviamente La peste, e ancora di più il breve racconto La caduta, che mi tormentò in certe notti universitarie che pensavo di avere nel frattempo dimenticato.

E sono stato anche fortunato, in questi giorni. Perché sono almeno due i ricordi letterari di Camus che possono essere qui citati per iniziare bene l’anno. Il primo lo ha scritto Goffredo Fofi (lo trovate qui) ed è incisivo e preciso. E dice così, a un certo punto:

La frase di Camus, non citata quanto merita, secondo cui «c’è la bellezza e ci sono gli oppressi. E per quanto difficile possa essere, io vorrei essere fedele ad entrambi», definisce i due poli della sua opera, che rifiutano una oggettività “borghese” e indicano due ideali, due obiettivi non separabili nella sua opera, quelli della ricerca del bello e del giusto, e in definitiva del vero. La sua attualità sta nell’aver voluto agire insieme sui due fronti, e mi sembra sia questo a scoraggiare di più gli intellettuali di oggi…

Ma ancora più importante e interessante mi sembra il secondo post, quello scritto da Rossella Farnese (lo trovate qui); perché è sintetico ed efficace e forse farà venire anche voi il desiderio di riprendere in mano i libri di Albert Camus, morto sessant’anni fa in un incidente d’auto. Farnese scrive per esempio così:

Preso atto dell’assurdo come condizione alienante dell’essere umano Camus non ci sta, assume l’attitudine dell’uomo in rivolta, combatte contro la mancanza di senso dell’esistere. La presa di coscienza del sentimento dell’assurdo non porta alla rassegnazione ma alla ribellione e all’impegno. Se l’esistenza è irrazionale, priva di significato, estranea a noi stessi, tuttavia l’assurdo non è insito nella natura dell’uomo in quanto tale ma nei modi in cui egli articola la propria vita e i propri legami: fronteggiare la “peste”, allegoria del morbo latente che infetta la vita e declinabile come la guerra, il dispotismo, il male, attraverso la solidarietà e la tenacia è questa la soluzione proposta da Camus… «Bisogna immaginare Sisifo felice», spiega in chiusura del saggio, perché Sisifo ha imparato a coabitare con l’assurdo ed è quindi libero perché assume su di sé il proprio destino e felice perché nella propria condanna diventa consapevole dei propri limiti.

Ma poi, dacché la fortuna è realmente cieca, c’è stata un’altra occasione letteraria che ho pensato non mi potesse sfuggire. È un racconto, è ambientato in una libreria, si intitola L’uomo col cane, lo ha scritto Sergio Salabelle (non so chi sia, me ne scuso), ha un finale malinconico, parla di un uomo e di un cane e dei suoi libri. E come avviene con la bella letteratura, parla anche di noi, dei nostri libri, dei lettori che siamo, di quelli che incontriamo. È un racconto molto bello (lo trovate qui: funziona anche come mio augurio di uno splendido anno letterario) e inizia così:

Viene a trovarmi circa una volta al mese, con Tolstoj. L’ha preso al canile e non è certo di razza. Io lo chiamo l’uomo col cane perché non ho idea del suo nome. Non credo che venga per comprare. Non è questo l’importante per lui. Data l’età (è un uomo molto anziano), sono certo che sia un pensionato, ma non ho idea di quale sia stato il suo lavoro. Durante tutto l’inverno indossa sempre lo stesso cappotto. Verde scuro, lungo sotto il ginocchio. Quello che facciamo di solito è parlare. Parliamo di tutto. In realtà è lui che parla e io lo ascolto, volentieri. Forse ha solo bisogno di qualcuno che faccia questo per lui. I suoi argomenti preferiti sono naturalmente la letteratura e i libri, quelli che ha letto nella sua vita di lettore (l’espressione è sua) e quelli che ha letto dall’ultima volta che ci siamo visti. Ignoro se abbia moglie o dei figli. Non parla mai della sua vita privata. Non so neppure dove abiti, anche se ho sempre pensato che vivesse in centro e per questo portasse il cane a passeggio dalle parti della libreria. Si trattiene sempre non più di mezz’ora poi, quando sta per andarsene, si gira verso di me, mi sorride: «Il libro – mi dice – dimenticavo di prendermi un libro da leggere». È sicuramente un uomo di cultura, ha letto molto…

Davide Profumo
Davide Profumo
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