Mi fa piacere oggi scrivervi da questo meridionalissimo angolo dell’Italia per dirvi due cose dell’angolo meridionalissimo dell’Italia da cui esattamente vi scrivo (benché Palermo sia assai distante da qui, a dire il vero: 4 ore di strada e di buche, non so se ci capiamo).
Ma mi fa piacere lo stesso parlarvi di Palermo e segnalarvi che qui potete trovare una bella intervista ad Antonio Sellerio, che racconta un po’ di cose della sua casa editrice, degli scrittori che pubblica e che ha pubblicato, di come riesca a competere oggi in un panorama editoriale popolato da giganti e grande distribuzione. E vi dice per esempio questa cosa, che io ho sempre pensato e su cui forse, però, ha ragione lui:
A volte ci criticano perché è facile distinguere un libro Sellerio a dieci metri di distanza, ma non è facile distinguere due libri Sellerio tra loro; io però credo che questo tipo di appartenenza possa essere un giovamento per i singoli libri … con oltre 50 anni di storia e un catalogo che si avvicina ai tremila titoli ci troviamo alle nostre spalle una quantità di libri che si meritano di circolare ancora, essere visibili, avere una seconda vita. Non è una questione di pura reperibilità, che ormai con l’e-commerce è un problema superato. Avevamo un ostacolo, che è la collana La memoria, fatta di novità, ma con libri piccoli e prezzo economico, e ci abbiamo ragionato, soprattutto con mia sorella, che poi ha varato il progetto grafico, e abbiamo deciso di sovvertire le regole classiche, facendo un economico non tascabile più grande dell’edizione originale e con una grafica completamente diversa.
Ma con la cultura non si mangia, si sa. E lo si sa anche in Sicilia. O almeno, visto che le distanze e le rivalità sono una cosa molto seria, lo sanno i catanesi. Che non hanno una grande casa editrice come Sellerio, ma hanno una bella collezione di dolci e di colazioni. Ve lo racconta bene Claudia Saracco, qui, se avete il coraggio di leggere:
A Catania, se cercate un cornetto per fare colazione, siete decisamente out. È più facile entrare in un bar per qualcosa di dolce e uscire addentando felici una cipollina. Perché davanti alla distesa di vassoi colmi di ogni delizia, tra una schiera di panzerotti, iris e raviole spolverate di zucchero da un lato e un esercito di arancini, cartocciate e bolognesi ancora fumanti di forno dall’altro, si rischia di rimanere un tantino frastornati. Per non sbagliare, i catanesi doc, di colazioni, ne fanno due.
Ecco, andate avanti. E fatevi un’idea (almeno quella) del ventaglio di possibilità, delle combinazioni, delle alternative, dei sapori e dei profumi. Provateci se avete il coraggio. Io nel frattempo esco e, nonostante proprio stamattina ci sia stata una tormenta di grandine e vento, approfitto del sole che sta per uscire e della luce che si comincia a intravvedere per andare in un bar, a fare colazione (dev’essere la seconda, non mi ricordo più, da molti mesi non tengo più il conto).
E penserò che è sicuramente giusto che le città di questo meridionalissimo angolo di Italia siano tutte, secondo le migliori classifiche dei nostri migliori quotidiani, agli ultimi posti per qualità della vita; e che ha sicuramente tutte le ragioni il mio amico scrittore siracusano quando dice che la sua città è bella per i turisti e per i pensionati, lo so che ha ragione. Però non mi chiedete di tornare nei luoghi in cui abitavo e in cui la qualità della vita è così più alta, per favore. Io sto bene (e ci lavoro anche bene) qui: sarà che a me non piace la qualità della vita, non so cosa dirvi.