Della scrittrice francese Annie Ernaux abbiamo già parlato, e nemmeno troppo tempo fa (e tra l’altro io non sono ancora riuscito a decidere se i suoi libri mi piacciono tanto o soltanto un po’…). Però se dovessi consigliare una sola delle cose che oggi ho letto sul web, riguarderebbe la Ernaux e un suo libro che non è nemmeno stato tradotto in italiano. È una specie di reportage su un supermercato, dentro un grande periferico centro commerciale, cioè su uno di quelli che una volta avremmo chiamato non-luoghi ma che non lo sono affatto: perché sono invece spesso i centri del nostro cercare (e trovare, o non trovare) (ed era davvero yogurt quello che stavamo cercando?) (e la musica facile che ci accompagna tra uno scaffale e l’altro, a mo’ di perenne sottofondo, è davvero così facile?) (e che cos’è esattamente un sottofondo se non qualcosa che riempie i vuoti?) (e come si riempiono davvero i vuoti?) (e perché ci è così necessario riempirli?); molto più di altri luoghi che ci pare invece di avere scelto, ma in cui invece passeggiamo dietro un cono gelato senza nemmeno vederli, anche se magari abbiamo fatto tanta inutile strada per arrivarci.
Al supermercato ci si va, semplicemente. E ci si va tutti, in un modo o nell’altro: ed è questo a renderli quindi i luoghi per eccellenza, quasi la sublimazione stessa dell’idea di luogo, quello che una volta era la piazza della città, che ora rimpiangiamo senza vedere che l’abbiamo in fondo, goffamente, ritrovata.
Ma queste cose, se io ho capito bene, le dice assai meglio di me Annie Ernaux, qui parafrasata da Ilaria Moretti. Per esempio quando dice così:
Chiusi tra i muri del supermercato si è al riparo dalle intemperie, caldo e freddo sono regolati artificialmente. Si può entrare e uscire in tranquillità, osservare, essere osservati, avere l’illusione di una socialità apparente che si espleta nel solo stare tra la folla: è possibile attraversare l’intera superficie commerciale senza scambiare una sola parola e avere, al contempo, l’impressione d’aver fatto parte del consorzio umano. L’illusione del non essere soli.
O ancora, più avanti, quando dice così:
Tuttavia la contemplazione esiste ancora. Prende vita nell’attimo in cui la folla torna, al pari dei viali di baudelairiana memoria, a essere protagonista di un gioco a specchiere: guardare l’altro per ritrovare se stessi. Osservare, nei moderni centri commerciali, non costa nulla. Non ci sono terrazze all’aperto, non simpatiche panchine impiantate al sole da cui sbirciare il mondo incollandosi ai passi della gente. È sufficiente, sembra dirci Ernaux, una passeggiata più lenta, una spesa senza carrello: è l’atto del dimenticare se stessi smarrendosi nella visione.
E quindi, insomma, è esattamente questa l’unica pausa che ho pensato che oggi ci meritassimo, ognuno a suo modo, di prenderci.