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17 Aprile 2018A cura di Ivana Pariggiano
Emily M. Bucholz et al. CIRCULATIONAHA.117.032321. March 26, 2018.
I disordini del metabolismo lipidico rappresentano un gruppo di patologie eterogeno per genetica, manifestazioni cliniche e trattamento. Nelle forme più gravi, come nell’ipercolesterolemia familiare (FH), il rischio di coronaropatia e di mortalità cardiovascolare aumenta fino a 13 volte rispetto alla popolazione generale. I dati disponibili sulla prevalenza e sui programmi di screening della patologia sono limitati e, nonostante la terapia con statine abbia dimostrato di ridurre l’incidenza degli eventi, la compliance al trattamento risulta ancora molto bassa.
A tal proposito, sono stati pubblicati su Circulation i risultati del registro americano National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES), che si proponeva di descrivere un campione rappresentativo di popolazione adulta con dislipidemia grave per quantificare i tassi di screening, consapevolezza della patologia e di aderenza alla terapia ipolipemizzante. Lo scopo dello studio era di definire le lacune nell’identificazione e nell’adeguato trattamento di questo gruppo ad alto rischio, per aumentarne i tassi di diagnosi e compliance e, di conseguenza, migliorare gli outcome cardiovascolari.
Sono state raccolte le informazioni demografiche, cliniche, socio-economiche e dietetiche di oltre 42.000 partecipanti mediante visita clinica o contatti telefonici. Tra le variabili descritte c’era l’indice di massa corporea (BMI) e la pressione arteriosa, classificate secondo le attuali linee guida, l’emoglobina glicosilata e il profilo lipidico. Il Dutch Lipid Clinic (DLC) score, un algoritmo clinico convalidato, è stato utilizzato per identificare gli individui con FH definito o probabile.
L’outcome primario era il ricorso alla terapia ipolipemizzante, della quale si riportava il tipo di trattamento (in particolare, il tipo di statina ed eventuali altri ipolipemizzanti). In circa il 7% della popolazione sono state riscontrate forme di dislipidemia severa (LDL-C≥190 mg / dL) e, tra questi pazienti, il 7,2% ha soddisfatto il criterio del DLC per forme genetiche (FH definito / probabile). Questi ultimi erano più spesso associati ad altri fattori di rischio quali diabete e ipertensione, e con familiarità positiva per cardiopatia precoce. I tassi di screening e consapevolezza del colesterolo erano alti (> 80%) tra gli adulti con FH definito o probabile e adulti con grave dislipidemia, ma moderati nella popolazione generale. Di contro, l’uso di statine era uniformemente basso; la terapia era correttamente assunta solo dal 52,3% degli adulti con FH e dal 37,6% degli adulti con dislipidemia severa, e quando prescritta risultava spesso (nel 30% dei casi) sottodosata.
La discrepanza tra diagnosi e trattamento era più marcata nei pazienti più giovani, nei pazienti non assicurati e nei pazienti senza una fonte assistenziale. Infatti nei giovani tra i 20 e i 39 anni con diagnosi di dislipidemia negli ultimi 5 anni, solo il 13% era in terapia con statine, mentre la compliance al trattamento aumentava al 51% negli adulti di età superiore ai 60 anni. Di particolare interesse è il basso tasso di utilizzo di statine nei giovani adulti ad alto rischio, che rappresenta il gruppo maggiormente a rischio di cardiopatia precoce.
Data la morbilità e la mortalità cardiovascolare associata alle differenti forme di dislipidemie e ai benefici noti della terapia con statine tra questi pazienti, i tassi attuali di terapia risultano a oggi troppo bassi. Ulteriori studi su larga scala sono necessari per definire programmi di screening e sensibilizzazione adeguati per identificare i soggetti e colmare il divario tra diagnosi e trattamento in questa popolazione ad alto rischio per ridurre gli eventi cardiovascolari.