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dipende

Che cos’è un libro? Un libro è, a tutti gli effetti, una cosa, un oggetto. E come tutte le cose che non nascono in natura, un libro è una cosa che qualcuno fa, che ha fatto e preparato, una cosa che prima non c’era e a un certo punto ha preso forma, quella forma, ha cominciato ad esserci e adesso c’è. E ancora più infine, è una cosa che smette di esserci, prima o poi, viene buttava via, al macero, dimenticata, riciclata, perduta per sempre e non c’è più.

Ma un libro è anche una cosa che si vende. E come per tutte le cose che si vendono, oggetti dell’umano consumo (un libro è in sostanza questo: un oggetto di consumo), un libro ha qualcuno che lo compra e qualcuno che lo vende. Il quale fa di tutto per vederne tanti, il più possibile, usa gli strumenti del venditore, il marketing, la pubblicità, il passaparola, i social, tutto quello che si può usare per dire che quel libro è bello, è interessante, è importante, è unico, lo stavi aspettando, non te lo puoi perdere… Fa di tutto per vendertelo.

Un libro quindi è tante cose ma non è certo una cosa diversa dalle altre. Assomiglia a un paio di scarpe, da questo punto di vista. Oppure a una scopa, o un’automobile, o a uno smartphone nuovo. Ti sembra di averne bisogno, lo compri, spendi i soldi che hai guadagnato vendendo il tuo tempo, lo usi (lo leggi), magari lo usi poco (lo lasci a metà), non lo usi più, lo metti via, lo abbandoni in un angolo della tua libreria, cimitero dei libri abbandonati, lo dimentichi.

Penso quindi a queste cose mentre leggo oggi un interessante articolo scritto pochi giorni fa da Oliviero Ponte Di Pino, che si intitola «Come funziona l’editoria». Ci penso perché è difficile pensare ad altro, soprattutto per me, che per molti anni ho lavorato nell’editoria e che per molti anni sono stato quello che i libri doveva venderli, che sperava di venderli, anche quando sapeva che erano libri brutti (erano quasi tutti libri brutti). Ci penso quando leggo così, per esempio:

È cambiato il processo produttivo. Una volta le grandi case editrici tendevano a coprire tutta la filiera, dalla correzione di bozze alla promozione e distribuzione, fino alle librerie. Queste monadi autosufficienti sono state sostituite da strutture ridotte alle essenziali funzioni direttive e strategiche, esternalizzando buona parte delle funzioni a service o a collaboratori esterni: scouting, redazione, copertine e grafica, a volte l’ufficio stampa (oltre che la traduzione) sono opera di una galassia di collaboratori coordinati dal “cervello” della casa editrice… Una casa editrice non è più solo e tanto un’industria che sforna prodotti in serie, ma assume le caratteristiche di una società di servizi per autori e lettori, come dimostra la diversificazione delle attività, con progetti di formazione (vedi il lancio nel gennaio 2021 della piattaforma Feltrinelli Educational), curatela di eventi, consulenze…

Ma penso anche dell’altro però. Penso che a volte, tra tutti i libri brutti, succede che ce ne sia uno bello. È raro, lo so, ma accade.

E allora, quando accade, un libro smette improvvisamente di essere un paio di scarpe. Diventa un’altra cosa, diversa anche da se stessa. E quella volta, quella volta rarissima, succede che il libro lo leggi piano, speri che non ti finisca presto, non lo metti subito via, nella tua libreria, cimitero dei libri da dimenticare, ma aspetti qualche giorno, poi ce lo metti, alla fine cedi, ma scegli un ripiano particolare, scegli un punto bene in vista, fai in modo di passarci spesso davanti, che stia in mezzo ad altri libri che ami, che hai amato, che possano andare d’accordo tra di loro e raccontare una storia, ogni volta che passi e li guardi; che sarà, almeno in parte, la tua storia.

In questi mesi mi è capitato di leggere un libro che mi è piaciuto molto, un romanzo. Lo ha scritto Alberto Riva (non sapevo nemmeno chi fosse) e si intitola Il maestro e l’infanta. Parla di musica barocca, di corti europee del Settecento (altre cose di cui non sapevo nulla o pochissimo), racconta di Domenico Scarlatti (conoscevo solo una poesia, di Vittorio Sereni, Via Scarlatti) che viene assunto alla corte di Lisbona e poi si trasferisce in Spagna, racconta della sua alunna Maria Barbara di Braganza, del loro rapporto misterioso, e poi di altre cose lievi ma precise. E lo fa senza trucchi né inganni, senza mai dire io, senza mescolare i piani della cronologia, senza nemmeno alternare i punti di vista: lo fa con cauta bellezza, come si costruiscono e si raccontano le storie bellissime; lo fa tratteggiando luoghi con indefinita limpidezza, prodigiosa, tanto che alzavo lo sguardo, spesso, e mi meravigliavo di non essere anch’io sulle rive del Tago, a Lisbona, o sulle pendici del Sacromonte, a Granada. Ed ero invece seduto sul divano, a casa mia.

Lo trovate, questo romanzo, magistralmente presentato qui da Matteo Nucci (il quale dice bene: è in qualche misterioso modo un libro eccentrico nel panorama letterario attuale, non so nemmeno spiegare il perché). E forse vi potrete fare la stessa domanda che mi sono fatto anch’io all’inizio di questo post, mentre ripensavo ai miei anni di collaborazioni con le case editrici di questo paese, quelle che fabbricano e vendono i libri, le cose, gli oggetti di consumo fatti di pagine e di inchiostro…

Che cos’è un libro, quindi? Dipende.

Davide Profumo
Davide Profumo
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