«L’unico problema del buon senso è che… è così di buon senso»
5 Aprile 2016
giovanni
7 Aprile 2016

di tanti miliardi di noi

Uno su alcuni miliardi, per esempio: non più di questo, non altro. Uno dei moltissimi, non diverso dai moltissimi e però nemmeno uguale. Essere un uomo, insomma, uno di coloro che camminano sulla terra e ne portano i segni e ne ascoltano, per esempio oggi, la primavera con i suoi passi leggeri. In fondo il romanzo, per come lo cerchiamo e lo vogliamo, non è molto di diverso da questo: una storia che ci dica siamo come gli altri miliardi di uomini e diversi dagli altri miliardi, insieme a loro e però separati, piccoli pezzi di una storia che ci assomiglia, così come la Terra che si chiama, prodigiosamente, come ogni suo singolo pezzo, dovunque assomigliando a se stessa.

 

E se siete arrivati fino a qui e pensate che l’argomento (il romanzo, la storia dell’uno che è anche storia dei tanti miliardi, il nostro essere pezzi di un disegno enorme e forse spaventoso, o inutile) il lungo saggio di Guido Mazzoni che sto per segnalarvi, io credo, farà per voi. Perché è colto, interessante e ha un folgorante inizio, tutto manzoniano. E anche il finale, quando lentamente ci sarete arrivati (come molto lentamente ci sono arrivato io), non vi potrà deludere. Il saggio, che trovate qui, inizia con questo malinconico ricordo personale:

 

Nel 2008, quando morì mio padre, cercai di raccogliere le foto che avevo di lui, come succede in questi casi, e, come succede in questi casi, allargai la ricerca alle generazioni precedenti. Le immagini che ritraevano il lato paterno della famiglia erano pochissime. Scoprii che nel 1972, durante un trasloco, mio nonno aveva deciso di buttare via una parte delle poche foto che possedeva. Quando mia madre gli chiese perché lo avesse fatto, lui rispose «tutta roba vecchia, tutta gente morta». Nato contadino in condizioni che non differivano molto da quelle di Ancien Régime, cresciuto in un’epoca nella quale la fotografia era un’arte costosa, complicata ed elitaria, mio nonno paterno pensava di non avere i mezzi e prima ancora il diritto di lasciare tracce. Si considerava una persona di fatica; la sua vita avrebbe avuto un senso solo attraverso il grande corpo allargato della famiglia, lavorando per far vivere i figli meglio dei genitori, com’era accaduto alle generazioni immemorabili di mezzadri da cui discendeva; tutto il resto era irrilevante e soprattutto non faceva per lui, a cominciare dalla conservazione della sua immagine nel tempo.

 

Ma se invece siete legittimamente stanchi della lunga giornata di lavoro e avete soltanto bisogno di un consiglio, ne ho uno, tutto veneziano. Amici fidati mi hanno scritto che la mostra su Aldo Manuzio, che si è recentemente aperta nella città che fu serenissima, non soltanto è bella, ma di più: bella, importante, istruttiva e interessante. Ve la consiglio, quindi, perché sono amici di cui mi fido. E ne trovate notizia qui:

 

Vedrete una mostra su come il libro cambiò il mondo, e su come e perché avvenne a Venezia, porta fra oriente e occidente. Il protagonista di questa rivoluzione fu un forestiero, giunto da Roma a Venezia per ritrovare la Grecia antica, filtrata attraverso Bisanzio: Aldo Manuzio. Tra il 1495 e il 1515 stampò un centinaio di edizioni di una bellezza senza pari, che crearono di fatto il libro e l’editore moderno e soprattutto inventarono il pubblico.

Davide Profumo
Davide Profumo
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