il nome della città
15 Dicembre 2016un’idea del paradiso
20 Dicembre 2016Se volete una lista lunga di libri per le vacanze, di quelle che lasciano spazio alla scelta personale, la migliore, secondo me, è questa qui. Ci sono dentro alcuni romanzi di alcuni grandissimi autori, non si sbaglia. Ci sono Don DeLillo e Bruce Springsteen per esempio; ma anche Roberto Calasso e Paolo Cognetti. Insomma, dateci una prima occhiata, qualcosa vi verrà di sicuro in mente, qualcosa vi piacerà.
Però, forse voi volete una lista più breve: due o tre libri già selezionati, magari secondo un tema già definito, che vi parlino di qualcosa a cui non sapevate di stare pensando ma che invece stavate davvero pensando. Ecco, anche in questo caso ho una breve lista che farà per voi. Il tema è una città (e chi mi legge sa che sempre più spesso mi sorprendo a credere che la letteratura non sia altro che un modo originale di disegnare le mappe topografiche e descrivere gli angoli delle strade dei luoghi che abitaimo…); il tema è esattamente la città di Roma. I tre libri che ne parlano sono tutti recenti; io ho letto soltanto il terzo (lo confesso, non pretenderete mica che…) e l’ho trovato meritevole (come tutti i libri del suo autore, a dire il vero). Magari piacerà anche a voi, magari vi farà venire voglia di leggere anche i primi due, o magari invece di riprendere in mano i romanzi precedenti di questo stesso scrittore.
Ma se invece voi voleste un solo consiglio, un solo autore, un solo libro per le vacanze di Natale, un diamante purissimo e soltanto quello, be’, vi confesso, non avrei dubbi neanche in questo caso (ed è strano per uno come me, che non sa mai consigliare niente a nessuno, da almeno una quindicina di anni). Il libro decisamente più bello che ho letto negli ultimi sei mesi non è un romanzo e si intitola Da animali a dèi; e ha un sottotitolo ancora più esplicitamente meraviglioso: Breve storia dell’umanità. Lo trovate ben raccontato qui e, se lo vorrete leggere, secondo me vi stupirete, vi appassionerete, vi odierete (un po’, forse, come è successo a me), vi entusiasmerete. E imparerete alcune cose sorprendenti, come questa:
Centomila anni fa almeno sei specie di umani abitavano la Terra. Erano animali insignificanti, il cui impatto sul pianeta non era superiore a quello di gorilla, lucciole o meduse. Oggi sulla Terra c’è una sola specie di umani. Noi. L’Homo sapiens. E siamo i signori del pianeta. Il segreto del nostro successo è l’immaginazione. Siamo gli unici animali che possono parlare di cose che esistono solo nella nostra immaginazione: come divinità, nazioni, leggi e soldi. Non riuscirete mai a convincere uno scimpanzè a darvi una banana promettendogli che nel paradiso delle scimmie, dopo la morte, avrà tutte le banane che vorrà. Solo l’Homo sapiens crede a queste storie. Le nostre fantasie collettive riguardo le nazioni, il denaro e la giustizia ci hanno consentito, unici tra tutti gli animali, di cooperare a miliardi. È per questo che dominiamo il mondo, mentre gli scimpanzé sono chiusi negli zoo e nei laboratori di ricerca.
Era il mio consiglio per Natale, insomma. Che se invece, poi, mi voleste chiedere cosa leggerò io, in effetti, visto che il libro di Harari l’ho evidentemente già letto, be’, se sarete così curiosi da volerlo sapere, ecco, io mi sono preso un libro di poesie e leggerò soltanto quello, ripetutamente, sperando di capirlo ogni volta un po’ di più. Si intitola Origini e raccoglie i versi di Giancarlo Pontiggia, di cui già ho scritto almeno un’altra volta, e che non smetto mai di amare un po’. Anche quando , per esempio, dice cose come questa, cose così inevitabilmente e irrimediabilmente sue:
Dall’età romantica in poi, la parola si piega lentamente, quasi inevitabilmente, al potere suasorio di ciò che sfugge a ogni forma di decifrabilità: impressionante, magmatico slancio conoscitivo destinato al naufragio, e che proprio in questo suo esito rovinoso trova la propria gloria. Anche il dio dei tragici greci poteva essere sentito come una metafora dell’imperscrutabile e di ciò che sfugge alla luce della ragione: ma le tragedie godevano dello statuto – collettivo e salvifico – del mito. L’eredità romantica è invece non solo un cielo vuoto di dèi, ma anche una civiltà priva di una cultura condivisa: ogni verso istituisce una battaglia contro ogni interpretazione, resta solo e irrelato, come se scrivere significasse rifondare ogni volta la lingua, sottrarla al peso della comunità parlante. Certo, chi potrebbe oggi identificarsi nella storia contemporanea senza provare un senso di mortificazione e di squallore? Ma questa constatazione, pur nella sua evidenza, non cancella ciò che di irrimediabilmente tragico è nell’atto della parola moderna, nella sua irrequietudine fatale.