Follow-up a 10 anni dello studio RITA 3: «Lazzaro, vieni fuori!»
4 Settembre 2015Dobbiamo ancora fare la “bridging therapy” per l’interruzione temporanea della terapia anticoagulante orale?
5 Settembre 2015È davvero difficile, in un momento in cui la Storia arriva così bruscamente nelle nostre vite (o anche solo sui nostri schermi), con tutta la sua forza anche violenta, trovare o scegliere le parole con le quali si vorrebbe riconoscerla. E schierarsi. Ma è con la Storia che oggi abbiamo a che fare, secondo me: ed è per queste migrazioni (a vario titolo tutte diverse eppure, nella sostanza, tutte uguali) che il nostro tempo, io credo, sarà in futuro ricordato: e noi di conseguenza. E infatti ho letto in questi giorni decine (forse centinaia) di considerazioni sui profughi, sui morti, sui bambini e sulla fotografie di coloro che stanno disperatamente cercando di entrare nella parte di mondo in cui io già sto, e lo stanno facendo a costo della loro vita e della vita dei loro piccoli figli, senza nemmeno riuscire a scegliere quale fosse la considerazione giusta secondo me. Forse perché non lo è nessuna, forse perché in parte lo sono tutte, forse perché la viltà è sempre e comunque la scelta più facile.
Ma oggi rinuncio a un po’ di cautela e vi propongo questo breve articolo di Andrea Inglese, che mi è molto piaciuto e che posso davvero condividere. Mi piace che espliciti, a un certo punto, la necessità banale che abbiamo tutti di «essere delle persone decenti», l’unico desiderio di felicità che forse a un certo punto abbiamo ancora la forza di tenerci. Il post parla soprattutto di vergogna, e comincia così:
È difficile dire a partire da che momento, da che giorno, io abbia percepito che sprofondavo nella vergogna, e che questa vergogna non avrei potuto esorcizzarla facilmente, con qualche bel gesto o con una serie di bei gesti, anche se la vergogna non chiede che questo, di essere soppressa attraverso delle azioni, delle azioni che ci portino in un’altra zona dell’esperienza e del nostro rapporto col mondo, in una zona dove la speranza prenda il sopravvento sulla vergogna. Io ho sentito con precisione che tutto il mio modo di vita mi destinava a quella vergogna, e che solo difficilmente avrei trovato la strada per uscirne, perché si trattava appunto di uscire da un’identità e da uno stile di vita, che erano ormai ben stratificati. E oggi che scrivo non ne sono ancora uscito, so che devo farlo, devo farlo per me e per gli altri; per me, che sono un cittadino adulto italiano, europeo, e per coloro che mi chiedono di uscire dalla vergogna, che hanno bisogno che io ne sia fuori, libero di fare qualcosa con loro e per loro. E lo devo fare anche per mia figlia, perché sarà lei, indubbiamente, che riceverà in eredità questa vergogna, e non vorrei che diventasse schiacciante.