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decenza quotidiana

È davvero difficile, in un momento in cui la Storia arriva così bruscamente nelle nostre vite (o anche solo sui nostri schermi), con tutta la sua forza anche violenta, trovare o scegliere le parole con le quali si vorrebbe riconoscerla. E schierarsi. Ma è con la Storia che oggi abbiamo a che fare, secondo me: ed è per queste migrazioni (a vario titolo tutte diverse eppure, nella sostanza, tutte uguali) che il nostro tempo, io credo, sarà in futuro ricordato: e noi di conseguenza. E infatti ho letto in questi giorni decine (forse centinaia) di considerazioni sui profughi, sui morti, sui bambini e sulla fotografie di coloro che stanno disperatamente cercando di entrare nella parte di mondo in cui io già sto, e lo stanno facendo a costo della loro vita e della vita dei loro piccoli figli, senza nemmeno riuscire a scegliere quale fosse la considerazione giusta secondo me. Forse perché non lo è nessuna, forse perché in parte lo sono tutte, forse perché la viltà è sempre e comunque la scelta più facile.

 

Ma oggi rinuncio a un po’ di cautela e vi propongo questo breve articolo di Andrea Inglese, che mi è molto piaciuto e che posso davvero condividere. Mi piace che espliciti, a un certo punto, la necessità banale che abbiamo tutti di «essere delle persone decenti», l’unico desiderio di felicità che forse a un certo punto abbiamo ancora la forza di tenerci. Il post parla soprattutto di vergogna, e comincia così:

 

È difficile dire a partire da che momento, da che giorno, io abbia percepito che sprofondavo nella vergogna, e che questa vergogna non avrei potuto esorcizzarla facilmente, con qualche bel gesto o con una serie di bei gesti, anche se la vergogna non chiede che questo, di essere soppressa attraverso delle azioni, delle azioni che ci portino in un’altra zona dell’esperienza e del nostro rapporto col mondo, in una zona dove la speranza prenda il sopravvento sulla vergogna. Io ho sentito con precisione che tutto il mio modo di vita mi destinava a quella vergogna, e che solo difficilmente avrei trovato la strada per uscirne, perché si trattava appunto di uscire da un’identità e da uno stile di vita, che erano ormai ben stratificati. E oggi che scrivo non ne sono ancora uscito, so che devo farlo, devo farlo per me e per gli altri; per me, che sono un cittadino adulto italiano, europeo, e per coloro che mi chiedono di uscire dalla vergogna, che hanno bisogno che io ne sia fuori, libero di fare qualcosa con loro e per loro. E lo devo fare anche per mia figlia, perché sarà lei, indubbiamente, che riceverà in eredità questa vergogna, e non vorrei che diventasse schiacciante.

Davide Profumo
Davide Profumo
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