se son rose
9 Febbraio 2019L’andexanet, l’antidoto per i sanguinamenti in corso di terapia con anti Xa
12 Febbraio 2019Ci sono, anche nella scuola, parole magiche, che paiono mettere d’accordo tutti, anche quando (magari) sono parole sbagliate. Per esempio la parola «maturità» (esame di) è sbagliata, perché l’esame finale delle scuola superiori non si chiama più così da molti anni; e però mette d’accordo tutti, nessuno si sogna di abolirlo (come sarebbe a questo punto assai meglio), tutti lo considerano un rito di passaggio fondamentale, tutti ricordano il proprio con sospiri, tutti se lo sognano ancora di notte, «notte prima degli esami», quattro ragazzi e una chitarra, tutti.
La stessa cosa, si parva licet componere magnis, accade con Dante. È ben difficile che Dante si studi bene nella scuole superiori, difficilissimo; e forse varrebbe pure la pena di lasciar perdere, ché le cose fatte male non giovano a nessuno. Eppure, figuriamoci: Dante, il padre Dante, per me si va tra la perduta gente, vuolsi così colà, l’inventore della lingua italiana, il vecchio commento del professore di mio zio al canto quinto, l’edizione sdrucita che conserva la nonna in soffitta… insomma, avete capito: Dante mette d’accordo tutti, di Dante si deve sempre parlare bene, Dante viene in questo modo annullato e disarmato, e di Dante in realtà non rimane niente. Vuolsi così colà, probabilmente.
[Con Manzoni va diversamente, per fortuna: Manzoni sta antipatico, Lucia è insopportabile, la provvidenza è una cosa così vecchia, su Manzoni si fa polemica, Manzoni non vorrebbe leggerlo quasi più nessuno: e questo contribuisce a rendercelo anche un po’ più vivo…- si chiama paradosso, è una cosa che non va molto d’accordo con la scuola e la retorica, in generale.]
Anche per questa ragione, per far entrare un po’ di aria nella stanza dell’interpretazione dantesca, vi consiglio un libro particolare, oggi. E lo faccio, badate bene, con un pizzico di involontaria cautela, perché si tratta di un consiglio originale Si intitola Dante e la selva oscura, questo libro, e lo ha pubblicato Gianni Vacchelli, per un piccolo editore di Bergamo. È un libro particolare, che parla molto di Dante per parlare molto di noi; è un libro che prende la «selva oscura» e la fa diventare il buio cui stiamo camminando noi, immersi in un mondo che non comprendiamo:
una gabbia d’acciaio banottica e panottica, dove noi pensiamo di muoverci liberi, ma dove siamo invece controllati, e pure controllori, sfruttati e autosfruttatori/punitori di noi stessi, schiavizzati, ma soprattutto tarlati da una schiavitù volontaria, fatta di rassegnazione, di smagamento, di fatale e irredimibile necessità.
Ecco, forse avete capito: si tratta di un saggio diverso, che ci mette nudi davanti al testo dantesco. E dice (e lascia dire a Dante) parole di cui avevamo forse perduto la conoscenza e la forza. E io non so se Gianni Vacchelli abbia o meno ragione, non so se davvero il suo modo di leggere Dante sia un modo corretto di leggere Dante, non so nemmeno se ne esista uno, o uno soltanto. Ma certo, questo lo so, è un modo di leggerlo davvero, di dare spazio a una voce di rinnovamento senza compromessi: che è una cifra in cui riconosco Dante, per come tanti anni fa ho imparato ad amarlo.
C’è una frase, sulla quarta di copertina del libro, che dice così:
Forse avevano ragione i medievali, quando dicevano che si sarebbe compresa la Commedia dopo 700 anni». Il tempo è questo allora.
Ecco, io non so da dove venga questa frase e non ho neppure cercato di saperlo e non vado a cercarlo neppure adesso, anche se potrei. Mi piace pensare che abbia ragione Gianni Vacchelli, mi piace mettere in atto questo minimo atto di fiducia e accettare quella frase. Ho letto il suo libro con la gratitudine di chi sta scoprendo prospettive nuove per una riflessione che tenta di fare da molti anni; ve lo consiglio oggi con la stessa fiducia e gratitudine. Se vi capitasse di leggerlo, venite a raccontarmi.