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29 Novembre 2018Un recente e probabilmente poco significativo dettaglio della vita politica nazionale ha fatto sì che negli ultimi giorni si sia spesso discusso della crescente diffidenza verso la scienza, che pare diffondersi in vari strati della popolazione, anche istruita. Mi pare una discussione importante, perché mette a nudo alcuni dei fondamentali nodi del nostro vivere collettivo e quindi della nostra cultura.
Il dibattito (che ha come protagonista un medico, come voi cardiologi) riguarda prevalentemente il rapporto che ci può e ci deve essere tra la competenza e il diritto a esprimere un’opinione, anche quando essa sia chiaramente poco motivata e scientificamente inverosimile o non dimostrata. Gli esempi sono ovvi: sia va dalla pericolosità degli Ogm a quella dei vaccini, dall’esistenza di un pericolo ambientale e climatico fino ai complottismi riguardo alle cosiddette scie chimiche.
Non sono un esperto di divulgazione scientifica (e quindi, obbedendo alle mie convinzioni, dovrei necessariamente tacere…); però due articoli che ho letto stamattina mi hanno molto interessato, e forse anche un po’ convinto. Il primo, breve, dice che la correlazione tra ignoranza, conservatorismo ideologico e sfiducia nella scienza non è stretta come alcuni di noi sembrano ovvio ritenere:
La gente può non credere alla scienza o non fidarsi degli scienziati per ragioni differenti, riguardo a uno specifico risultato di una singola disciplina (per esempio: «Il cambiamento climatico non c’è, ma credo nell’evoluzione») o riguardo alla scienza in generale («La scienza è solo un’opinione tra tante»). Abbiamo identificato quattro principali indicatori dell’accettazione o del rifiuto della scienza: ideologia politica; religiosità; convinzioni morali; competenze. Queste variabili tendono a influenzarsi tra loro – in alcuni casi notevolmente – e questo può provocare una certa confusione. Per esempio, una relazione tra conservatorismo politico e fiducia nella scienza potrebbe essere causata in realtà da un’altra variabile, la religiosità per esempio. Quando non si misurano tutti gli indicatori simultaneamente è difficile valutare correttamente qual è il loro valore.
Il secondo, meno breve e assai più interessante, dice che non è l’ignoranza a generare sfiducia e che, soprattutto, il principio di autorità, ribadito con arrogante distacco, non riuscirà mai a sconfiggere questa sfiducia:
Il rapporto sottolinea infatti che la sfiducia verso la scienza non è tanto dovuta a un deficit di conoscenza da parte del pubblico, quanto piuttosto a un deficit di fiducia verso le istituzioni incaricate di gestire la politica della scienza. Una conclusione cui è giunto, per l’ambito italiano, anche un rapporto di Observa del 2009, in cui si confuta l’idea «che una più consistente esposizione a contenuti scientifici nei media contribuisca a migliorare le conoscenze». Il nodo più critico concerne non tanto la fiducia nella scienza tout court, «quanto piuttosto l’organizzazione dell’attività scientifica e le modalità pratiche con cui sono definite le priorità e gestite le risorse», giacché un italiano su due è convinto che anche il mondo della ricerca sia governato significativamente dalle logiche di mercato e dagli interessi economici.
È un articolo assai interessante, quest’ultimo: e mi permetto di consigliarne la lettura integrale a tutti, non solo ai medici e ai cardiologi. I quali, lo so bene, hanno a che fare con le persone (pazienti ma anche impazienti) tutti i giorni e sanno bene quanto sia importante la comunicazione nel loro mestiere… Ma questo vale per tutti noi, per tutti i mestieri e anche per tutte le culture, che grazie al cielo sono molte e in costante evoluzione (e parole quasi definitive, se avete voglia di approfondire la questione del rappoorto tra competenze e discussioni, sono queste qui, le mie preferite).
1 Comment
Vabbè, io parlo senza essere un esperto come al mio solito 🙂
Come prima cosa, scienza e comunicazione scientifica sono due cose parecchio distinte. Proprio come non è detto che un grande scienziato sia un grande insegnante e viceversa, non possiamo aspettarci che uno scienziato faccia il lavoro di comunicatore, salvo che in casi molto particolari. Non per altro, ma quando fai scienza usi inconsciamente un insieme di convenzioni che per il grande pubblico non hanno semplicemente senso.
Il secondo punto – in un certo senso collegato al primo – è che ormai la scienza è così specializzata che è molto difficile mostrare un punto di vista complessivo. Per fare un esempio volutamente generalista, come ribatti a uno che ti dice “no, non c’è il riscaldamento globale, guarda come ha fatto freddo quest’anno”? Anche avere una massa di dati serve a poco se non si è in grado di spiegare il significato pratico di questi dati: di nuovo, è un problema di comunicazione più che di scienza (e notate che sono ottimista e non sto parlando di chi fa coscientemente disinformazione)
Infine è vero che il principio di autorità oggi non serve più a generare fiducia nella scienza, a differenza di quello che succedeva anche solo settant’anni fa. Ma più che l’ignoranza il problema mi pare essere la complessità e la mancanza di memoria. Quando Gino Bramieri faceva la pubblicità del Moplen si pensava alla plastica semplicemente come un sistema per creare oggetti leggeri e resistenti, ma non era venuto in mente a nessuno che quelli non sono solo vantaggi ma anche svantaggi, con la fregatura ulteriore che i vantaggi li vediamo vicino a noi ma le isole di plastica in mezzo agli oceani, per non dire le microplastiche nella catena alimentare, no. Quando diciamo “ma in fin dei conti noi da piccoli abbiamo avuto il morbillo e non ci è successo nulla” dimentichiamo che quelli che il morbillo lo ebbero e ci rimasero secchi non sono qui a prestarsi a un contraddittorio.
Detto tecnicamente, “è un casino”. Lo è perfino quando parlo di matematica, che in teoria dovrebbe portare a minori contenziosi 🙂