«Che belle le cose belle!» ho stupidamente, tautologicamente, pensato ieri sera mentre parlavo con mia moglie di qualcosa che è molto piaciuto a tutti e due, forse di un film o di un libro o di una partita di calcio o di una strada o di una piazza che abbiamo visto d’estate quando ci era consentito di badare soltanto alla bellezza, o più probabilmente di un fiore. E ho anche subito pensato ad Alessandro Manzoni, ovviamente, mentre pensavo quella stupidaggine, al cielo di Lombardia così bello quando è bello, ma anche a un altro poeta, che non smetto di amare, di cui non smetto di parlare (spero me ne scuserete), che non smette di essere pubblicato e commentato, per fortuna.
Sta uscendo infatti, per le meritorie pagine di Interno Poesia (meritorie sul serio: hanno anche da poco ripubblicato i versi d’amore scritti da Ludovico Ariosto per l’amatissima Alessandra, da non crederci…) una nuova edizione dei Colloqui di Guido Gozzano, introdotti e commentati da Alessandro Fo. Mi pare una bella notizia e volevo condividerla con voi stamattina, subito. E volevo invitarvi a leggere le poche ma acute risposte che il curatore (le trovate qui) concede sul sito Pangea a chi lo intervista. Perché rendono giustizia al poeta Gozzano e spiegano la necessità che avremmo di non dimenticarcelo, nemmeno adesso che abbiamo così tante altre cose a cui pensare, visto che di cose belle abbiamo pur sempre bisogno. Per esempio questa risposta:
Sì, [Gozzano] dice di essere stato incapace di provare l’Amore, la folle passione sconvolgente e durevole. Ma in realtà ha amato a suo modo: ha amato la vita, le sue pose, i suoi oggetti, e anche le persone: forse più le persone lontane, teoriche, immaginate – rispetto a quanto non sia riuscito a fare, almeno sul piano strettamente erotico-sentimentale, con le figure femminili che ha incontrato. E questo calore di fondo, pur dietro un distacco ironico, spesso più ostentato che reale, si avverte, e chiama alla complicità. Più stringatamente: il canto delle cose che stanno trascorrendo o sono già passate, ma ci legano ineluttabilmente al loro ricordo, e vogliono mantenere con noi un legame d’affetto che, nella voce di Gozzano, si esprime come morbida e delicata nostalgia.
È la poesia insomma, è la grazia ineffabile del poeta che arriva più in là di ogni nostro sguardo, di ogni nostra parola, di qualsiasi possibilità che riusciamo a dare alla bellezza («Del poeta si dovrebbe ascoltare il cuore che pulsa», ho letto poco lontano da questa intervista al curatore di Gozzano). È il fatto che, come dice l’intervistatore di Fo:
A dispetto della formula emblematica – in effetti, svariati versi suoi hanno la potenza musicale dell’amuleto, sono memorabili fibbie –, studiata a scuola, che fa “Non vissi… / Non vivo. Solo, gelido, in disparte, // sorrido e guardo vivere me stesso”, Guido Gozzano è tra i poeti più vivi, vitali, del nostro canone portatile.
Le poesie di Guido Gozzano sono quindi (è verissimo) cose belle, amuleti, fibbie, segni, fiori veri, fiori finti. Alla collana di «Interno Poesia» va il merito di non lasciare che ce le dimentichiamo troppo facilmente. A noi resta il desiderio di leggerle, di muoverci con cautela tra un verso e l’altro, di riconoscere la bellezza anche quando il poeta fa di tutto per distrarci, per sviare la nostra attenzione, per fingere di essere quello che non è e di non essere quello che è, un poeta.