alcune semplici domande
2 Maggio 2021è ovvio
9 Maggio 2021Ieri sera, verso le sette, è partito. Per la prima volta, dopo diverso tempo, mi sono accorto di lui. Non sapevo neppure di averlo attivato eppure devo averlo fatto, un po’ come gli “accetto tutto” che quotidianamente spunto su diversi siti Web. Sto parlando del salvaschermo del mio MacBook Pro Retina del 2015. È bello, mi fermo a guardarlo. Non è facile descriverlo: è come una serie di piccoli segmenti luminosi che si muovono in modo coordinato e, in una coreografia lentissima, formano onde cangianti. Sembrano delle alghe di laguna o dei fili d’erba scossi dal vento.
Francesco Zucconi, qualche giorno fa, ha scritto così, in uno strano articolo che parla di un oggetto non-oggetto, il salvaschermo, a cui mai avevo pensato. Mi ci ha fatto pensare.
Mi ha fatto pensare alle immagini e ai tubi catodici di venti o trenta anni fa ma anche alla parola schermo, al verbo schermarsi nell’accezione di ‘nascondersi’, per cosa usiamo i nostri schermi, per nasconderci da che cosa, da che cosa ci siamo nascosti in tutti questi mesi mentre fingevamo di salutare sorridenti da dietro uno schermo, a come sia facile nascondersi dietro un’icona, una foto in un piccolo riquadro, oppure usando per esempio una mascherina chirurgica, una ffp2, oppure un semplice pezzo di stoffa che ovviamente non ha nessuna funzione protettiva se non quella di nascondere il nostro volto agli altri, ho pensato anche : «Ma quanti sono quelli che si trovano bene con la mascherine perché in realtà si nascondono, non vedevano l’ora di nascondersi, avevano sempre avuto paura, nascondono le loro facce e guardano da lì dietro, finalmente protetti, non dal virus ma dal nostro sguardo, protetti?»
E poi ancora ho pensato ad altre cose che ha già scritto Francesco Zucconi nel suo post, e cioè che forse il salvaschermo non serve a noi per nasconderci dalla macchina, dal computer, ma, al contrario, serve alle macchine per nascondersi da noi, celarsi, non farci vedere quello che sa, che pensa, che non sa, che sogna, quando dorme, dopo trenta minuti di inattività, quando può finalmente, anche lei, la macchina, riposarsi da noi.
Cosa sognano i computer: sognano forse «una serie di tubi che si distendono lungo un’enorme stanza dai confini invisibili, dando forma a una sorta di sublime idraulico…» E perché non si può fare lo screenshot del proprio salvaschermo, cosa c’è che impedisce al computer di essere se stesso mentre è agito dal salvaschermo, mentre dorme, e se magari siamo anche noi nascosti dai nostri salvaschermi durante le giornate che viviamo come sonnambuli, tra un incarico e l’altro, tra un nascondiglio e l’altro, tra una faccenda e l’altra?
Queste ed altre cose ho pensato mentre ripensavo ai salvaschermi, quegli strani oggetti non-oggetti che tutti conosciamo, che tutti abbiamo avuto senza sapere di averli, la coperta scura sotto la quale si nascondono i sogni proibiti delle macchine che usiamo a da cui siamo usati, le macchine che sognano adoperando le nostre fotografie private, i nostri sorrisi di vent’anni fa, la cronologia dei siti web che abbiamo cancellata, l’inconscio dei nostri viaggi da fermo.