Febuxostat e Allopurinolo: Confronto sulla sicurezza cardiovascolare
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15 Aprile 2018Non credo ai segni fatali, lo confesso; e ho sempre preferito le coincidenze, che sono appunto curiose (e se c’è una coincidenza … è curiosa, direbbe qualcuno) e casuali e anche più simpatiche. Non credo ai segni fatali o alle profezie o a nessuna forma di sincronicità, ci mancherebbe. Però, negli anni, ho cominciato a credere con una certa protervia all’ispirazione; e ogni giorno che passa mi ritrovo a crederci un po’ di più, inesorabilmente, forse come sintomo della senilità incipiente, più probabilmente come sintomo di impercettibile ma evidente fallimento. Ed è quindi di ispirazione che desidero parlare oggi (e c’è stato un film qualche mese fa, che proprio di quello parlava, a mio parere, e che mi è piaciuto moltissimo).
Comincio allora da una scrittrice islandese (lassù, in mezzo ai ghiacci, hanno risorse che da qui non si potrebbero prevedere…) che ha scritto a tal proposito una pagina assai bella, una pagina da cui estraggo alcuni passaggi, che penso vi daranno la voglia di andare a leggere tutto il suo breve saggio (dal titolo meraviglioso), e poi anche i suoi libri, come è successo a me, soprattutto se non ne conoscete nemmeno uno, come è successo infatti anche a me. Scrive così Auður Ava Ólafsdóttir (ehm… lo ammetto: è stato un copiaeincolla):
L’ispirazione è un fenomeno misterioso e non sempre uno scrittore sa perché scrive quella certa storia che scrive. A me è capitato che una storia da 300 pagine mi venisse incontro bell’e pronta in mezzo minuto, mentre attraversavo la strada. Dovevo solo trovare il tempo di mettermi a scriverla e una volta terminata, riuscire a definire di che cosa il libro trattasse, in modo che ne potessi parlare.
E poi così:
Io credo che l’essenza dello scrivere risieda nel suo tentare di dare parola a quel vuoto che potremmo chiamare il non essere. Il che significa anche che ciò che sta tra le parole è importante quanto le parole stesse. In realtà quello spazio è anche più importante delle parole, perché è in quello spazio che il lettore entra in gioco e dà il proprio significato all’opera. Lo potremmo chiamare un silenzio. Una pausa nel tempo.
E infine, splendidamente, così:
È precisamente lì, sull’orlo estremo del vuoto, in quell’inarticolato spazio del pensiero, del sogno e dell’immaginazione, che lo scrittore sta, con ali tanto sottili e trasparenti da riuscire a trasportare solamente coloro che non comprendono le leggi della gravità.
E avrei anche finito, per oggi, se non fosse che (segno fatale? coincidenza?) mi è capitato di leggere pochissimi minuti fa questo altro articolo su un altro libro di cui non sapevo nulla (e cominciano ad essere troppi, lo ammetto…) che magari non parla di ispirazione in senso tecnico ma dice cose bellissime sul processo creativo, smontando qualche luogo comune, sottolineando l’aspetto un po’ autistico che la creazione finisce inevitabilmente per avere e trascinare con sé, implicando insomma il concetto di ispirazione. L’articolo (che leggerete qui, per intero) parla di Isaac Asimov e di superbia, di illuminazioni improvvise e di razionalità operativa, e a un certo punto arriva a dire queste parole:
Progettare, dare consistenza visibile e poi tangibile a ciò che si è concepito nella mente, con la fantasia. Frutto di un ragionamento logico, ma anche illogico, ipotizzato, contraddittorio, surreale: tutto ciò può concorrere nella creazione; un risultato inatteso che è maggiore della somma degli elementi che lo compongono. Questo «surplus», questo plusvalore prodotto dal lavoro intellettuale è la quota di hybris che spinge l’uomo oltre la materialità dell’esistenza. Il suo indelebile segno distintivo.
Ecco, è questa l’ispirazione a cui, ogni giorno di più, credo di credere. Sarà senilità, talvolta mi dico. Oppure inconsistenza dei traguardi raggiunti, mi dico altre volte. Oppure, semplicemente, sarà che è necessario dare un nome anche a ciò che non abbiamo mai capito che cosa fosse. Che cosa è. Che cosa sarà.
1 Comment
tra le tante cose che mi è capitato di fare nella mia vita c’è anche stato lo studiacchiare le tecniche di creatività sistematica (pare un ossimoro, lo so), perché mia moglie doveva raccontarle in alcuni corsi. Quello che ho scoperto è che la creatività funziona esattamente come tutte le altre cose: ci sono persone che riescono molto bene senza sforzo apparente, ma chiunque se si allena un po’ riesce a ottenere qualche risultato.
Insomma, si può davvero imparare a essere creativi: ma a differenza di quanto pare dire Bordoni anche i brainstorm servono. Non per il motivo che viene propagandato dai suoi fautori, forse: ma perché più informazioni hai più è facile metterle insieme per ideare qualcosa di nuovo (sempre che tu non rimanga bloccato dai tuoi schemi mentali)