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con gli occhi

Se mi fermo, se chiudo gli occhi e faccio – per un impercettibile secondo – silenzio, mi rimangono due pagine, due voci (forse tre). Perché è questo che più o meno sempre mi accade: leggo, ascolto, rileggo, percorro rapidamente con lo sguardo i titoli, i capoversi, salto da una riga all’altra, da una parola all’altra, e poi, nel buio degli occhi chiusi, qualcosa mi è restato, pochissimo, una pagina, un verso, una parola, o soltanto l’idea di un ritmo, una citazione.

Oggi, nel silenzio che provo a fare, mi rimane una poesia dedicata a un padre, l’ha scritta Gianni Montieri e la trovate in questa pagina, in fondo, è la terza delle tre, quella che finisce con la parola «mare». Se vi piace (a me è piaciuta molto) potete anche pensare che valga la pena di leggere un’intera raccolta di versi di Gianni Montieri, questa, si intitola Le cose imperfette, è spigolosa, intensa, credo sia una raccolta di poesie tra le più belle che siano stata scritte in Italia negli ultimi anni.

E poi, sempre nel silenzio che per un attimo ho saputo fare, un’altra voce, altrettanto acuta e dolorosa. Quella di Andrea Pomella che cita Giacomo Leopardi (un passaggio che dopodomani compie duecento anni, perfetti) e parla di cosa sia la solitudine ai tempi della pandemia da coronavirus. Una strana pagina (la trovate qui), che si fa fatica a fermare e a mettere a fuoco, una descrizione di quello che siamo e siamo stati in questi mesi, di quello che non abbiamo più trovato fuori di noi, che abbiamo trovato in rete, dei colori che (prodigiosamente) potremmo anche non vedere più. Scrive così Pomella:

In ogni momento della nostra solitudine sapevamo che fuori di noi c’era altro. C’era per esempio un universo di esseri umani, di fatti, di eventi, c’erano città brulicanti, c’era vita. E quindi la nostra solitudine di uomini connessi si determinava in base a una doppia folla, quella che germogliava oltre il vetro alluminosilicato dei nostri dispositivi e quella che pulsava altrove. Cos’è accaduto da un anno a questa parte di così radicale da ridefinire il concetto stesso di solitudine? È successo che, per via di un evento immane e pervasivo come la pandemia, una di queste due folle è venuta meno. E non in senso astratto. La folla esteriore si è dissolta.

Di tutte le cose lette in rete in questi giorni, mi restano queste due, stamattina: una riflessione sulla solitudine e sugli occhi che non vedono più i colori; e una manciata di versi, una passeggiata, una panchina da cui, stringendo gli occhi, si vede (si immagina?) il mare.

Spero che anche voi sentiate la malinconia di entrambe queste cose.

Davide Profumo
Davide Profumo
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