due libri, nessun libro
18 Ottobre 2015Dall’Eurothrombosis Summit 2015
20 Ottobre 2015A cura di Maurizio Del Pinto
Coronary Heart Disease Mortality Declines in US From 1979 Through 2011
Evidence for Stagnation in Young Adults, Especially Women
Kobina Wilmot el al; Circulation 15 September 2015
Il 15 settembre 2015 è stato pubblicato su Circulation un importante lavoro di epidemiologia cardiovascolare. Uno di quei lavori scientifici che modificano la percezione di come stiamo operando nella nostra quotidiana pratica clinica e che gli anglosassoni definiscono “Seminal Publication” per intendere che un germe di nuove conoscenze viene seminato, come accaduto per il lavoro di Kannel (1) sui Fattori di Rischio Cardiovascolari pubblicato nel 1961 che introdusse la nozione che le malattie cardiovascolari erano in parte prevenibili, e che le donne erano parimenti affette da malattia coronarica ma in età più avanzata rispetto agli uomini. Proprio dal lavoro di Kannel deriva lo sforzo fatto negli anni ’70 e ’80 dal National Heart Institute (divenuto poi Heart, Lung and Blood Institute) per promuovere programmi nazionali di educazione alla salute e le prime linee guida per il trattamento dell’ipertensione (1972) e dell’ipercolesterolemia (1985). Tale impegno, insieme a trial clinici di prevenzione primaria e secondaria, agli studi sulla fibrinolisi e ai considerevoli progressi tecnologici (angioplastica primaria, nuovi pacemaker e ICD, procedure di rivascolarizzazione estesa, modalità diagnostiche eccetera), ha determinato una drammatica riduzione della mortalità cardiovascolare aggiustata per età. Questo viene esemplificato dalla figura 1.
Questo è quanto sapevamo fino a oggi. Ma dove siamo diretti? A che punto siamo nella epidemiologia della malattia coronarica acuta? Quella curva di mortalità nasconde qualcosa che non conosciamo bene?
Il lavoro di Wilmot analizza i dati di mortalità per CAD negli Stati Uniti in tre gruppi di età (<55 aa, 55-64 aa, >65 aa) nelle decadi 1979-1989, 1990-1999 e 2000-2011, esplorando e comparando i cambiamenti percentuali di mortalità per anno durante tali decadi in adulti >25 anni di età.
Un primo dato: la mortalità per malattia coronarica tra il 1980 e il 2002 si riduce del 52% negli uomini e del 49% nelle donne.
Al di là di questo, precedenti analisi evidenziavano un rallentamento nella riduzione annua di mortalità tra i giovani adulti (35-54 aa di età): dal -5,4% per anno tra il 1980 e il 1989 al -1,5% negli anni 2000-2002 nelle donne e dal -6,2% al -0,5% negli uomini. Questo dato di rallentamento nella riduzione di mortalità, stagnazione come verrebbe definita in termini economici, potrebbe riflettere anche un incremento di mortalità per malattia coronarica nei giovani adulti (35-54 aa). Questo dato si osserva non solo negli Stati Uniti, ma anche in altre zone del mondo occidentale (UK, Australia e Canada, dove si osserva anche un incremento di mortalità nei pazienti più giovani: ad esempio un incremento del 1,7% per anno di incidenza per IMA tra il 2000 e il 2009 in Canada nei pazienti con età <55aa). Date tali premesse, l’obiettivo del lavoro di Wilmot è quello di esaminare la mortalità negli USA, per età e sesso, tra il 1979 e il 2011, con particolare riguardo al trend più recente tra giovani uomini e donne.
Tale analisi è stata eseguita utilizzando il Joinpoint Regression Modelling per analizzare l’andamento nei cambiamenti di trend di mortalità definita come EAPC (Estimated Annual Percent Change). Tale modalità statistica si usa correntemente per analizzare i trend di mortalità, specie per malattie neoplastiche.
Risultati:
Nel periodo tra il 1979 e il 2011 la mortalità globale aggiustata per età negli adulti >25 aa diminuisce in modo simile negli uomini e nelle donne: da 703 a 225 morti ogni 100.000 individui negli uomini (-68% di riduzione) e da 395 a 125 decessi nelle donne (-68%). Tuttavia tale riduzione complessiva maschera importanti differenze nella riduzione di mortalità per età e per sesso.
Come si osserva dai grafici riportati nella Figura 2, la riduzione di mortalità (EAPC) nell’intero periodo è più spiccata nei soggetti più anziani (>75 aa) rispetto alle decadi più giovani (<55aa). Così come minore è la riduzione di mortalità tra le donne giovani e di età media (<65aa) rispetto agli uomini nelle stesse decadi di età. Sono le donne più giovani (<55aa) quelle che mostrano un declino di mortalità più modesto con un EAPC di -1,9%.
Proseguendo l’analisi del periodo in esame è stato studiato l’andamento di riduzione di mortalità nelle tre decadi: 1979-1989, 1990-1999, 2000-2011. Sia uomini che donne con meno di 55 anni hanno mostrato una sostanziale riduzione di mortalità fino al 1990 (EAPC -5,5% negli uomini e
-4,6% nelle donne) mentre nelle due decadi successive si osserva un appiattimento nella curva di riduzione di mortalità, in special modo ancora per le donne (il cui EAPC varia dal -4,6% tra il 1979 e il 1989 fino al 0,1% tra il 1990 e il 1999 e -1,0% tra il 2000 e il 2011). Al contrario i soggetti più anziani (>65 aa) hanno modeste riduzioni di mortalità fino al 2000 (EAPC -2,6% negli uomini,-1,7% nelle donne), ma mostrano una rilevante riduzione di mortalità nelle decadi recenti (EAPC, -4,4% negli uomini e -5,0% nelle donne) (Figura 3).
Discussione:
Negli ultimi trent’anni negli USA si è avuta una importante riduzione di mortalità, tuttavia tale trend nasconde importanti differenze demografiche. Nell’ultima decade l’osservata riduzione di mortalità è essenzialmente dovuta al declino di mortalità nelle popolazioni più anziane, mentre nelle popolazioni più giovani, specialmente di sesso femminile, si osserva un plateau nella curva di riduzione di mortalità. Le cause di tale lento declino di mortalità nelle decadi più giovani non sono chiare. Fattori di rischio, presentazione e outcomes nella malattia coronarica sono stati studiati negli USA, e nel mondo, nelle popolazioni di età più avanzata e generalmente a elevata prevalenza di sesso maschile (2). E contrariamente alla comune percezione i giovani adulti (con età <50 aa) rappresentano circa il 22% delle ammissioni ospedaliere per Sindrome Coronarica Acuta (3), con una percentuale di donne del 25% nei pazienti con <55 aa ricoverati per Infarto Miocardico Acuto (4). Rispetto agli uomini le giovani donne hanno più comorbidità e una maggiore mortalità intraospedaliera (5). Inoltre le giovani donne hanno un rischio di eventi coronarici a 10 anni che non si è ridotto come negli uomini e il Framingham Risk Score per le donne tra i 35 e i 54 anni è attualmente cresciuto (6). La comprensione dei meccanismi che sottostanno al cresciuto profilo di rischio cardiovascolare nelle giovani donne è fondamentale per ridurre la futura morbilità e mortalità.
Negli USA non si è avuta una riduzione dei ricoveri per IMA nei soggetti più giovani (<55aa) nel decennio 2000-2010. In netto contrasto con quanto avvenuto nelle età più avanzate: >20% di riduzione di ospedalizzazioni per IMA nello stesso periodo nei soggetti >65 aa (7). Tale andamento si è registrato anche in altri paesi occidentali (Australia, Canada) con tendenza all’incremento dei ricoveri per IMA di giovani donne. Tale sfavorevole trend nell’incremento dei ricoveri per IMA nei giovani adulti, specialmente donne, contrasta con la riduzione di mortalità intraospedaliera sempre negli stessi soggetti (5). Similmente la mortalità intraospedaliera va diminuendo in tali giovani soggetti, meno comunque nelle giovani donne (8) che in alcuni lavori mostrano un incremento nella mortalità pre-ospedaliera. Le considerazioni epidemiologiche illustrate fanno concludere che l’evidente “stagnazione” nella curva di mortalità tra i soggetti più giovani sia dovuta non solo a un incremento della mortalità pre e intra-ospedaliera, ma a un incremento dell’incidenza di malattia coronarica tra i soggetti più giovani, specie di sesso femminile. Questo rifletterebbe un trend avverso nei fattori di rischio cardiovascolari. La scarsa attenzione al rischio coronarico delle giovani donne è stato già analizzato (9). Altre considerazioni si possono fare circa la disparità razziale negli USA, con maggiore mortalità tra le giovani donne di colore, che tuttavia in questo lavoro sembra in progressiva riduzione.
La sottostima del rischio delle linee guida nei soggetti più giovani e specialmente nelle donne può aver determinato una prevenzione primordiale e primaria meno efficace (10). La presenza di fattori di rischio non tradizionali rispetto alle popolazioni più anziane, l’aumentata prevalenza di obesità e sovrappeso nei giovani >20 aa nelle ultime quattro decadi e l’aumentata incidenza di diabete tipo 2 sono molto importanti. Obesità, sovrappeso e diabete hanno notevole impatto nei soggetti più giovani, in termini di peso epidemiologico, se si considera che nei soggetti <44 anni di età e nelle donne, si registra il maggior incremento nella incidenza di diabete mellito dal 1980. E le giovani donne sono quelle in cui maggiore è la prevalenza di obesità e obesità addominale sempre nello stesso periodo (11). Nelle giovani donne diabetiche il rischio di coronaropatia acuta aumenta fino a 5 volte rispetto ai controlli (12).
Il lavoro mostra che nelle ultime tre decadi il miglioramento nei dati di mortalità per coronaropatia acuta si è avuto in misura maggiore nelle popolazioni più anziane (>65 anni di età), con una riduzione annuale drammatica a partire dal 2002. Questo potrebbe essere un effetto di coorte dovuto alla migliorata prevenzione primaria, controllo lipidemia-diabete e stato ipertensivo negli anni precedenti negli stessi soggetti. Data anche la attuale scarsa compliance dei soggetti più anziani a programmi di prevenzione primaria e secondaria.
Considerazioni:
- È assolutamente necessario porre attenzione alla medicina di genere dato che, nonostante le raccomandazioni emanate fin dal 1993 da organi regolatori statunitensi, questo non si è ancora verificato. Le donne e in special modo le giovani donne sono poco rappresentate nei trial clinici (13). Il lavoro che commentiamo analizza a fondo questa specifica popolazione.
- Altri studi hanno analizzato tali particolari popolazioni (Women’s Health Initiative, Jackson Heart Study, Atherosclerosis Risk in Communities, Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis, Strong Heart Study, e altri) (14), ma vengono poco considerati dalla comunità medico-scientifica e le loro conclusioni non sono patrimonio culturale condiviso.
- I fattori di rischio conosciuti e trattati sono stati studiati in popolazioni generalmente di età più avanzata (>55-65aa).
- I dati di questo lavoro sono chiari: i classici fattori di rischio di Framingham tra le donne di età 35-54 anni sono cresciuti. È necessario uno sforzo scientifico, di ricerca e assistenziale per comprendere i meccanismi di tale peggiorato profilo di rischio in questa popolazione, che ha un ruolo sociale di grande rilevanza.
- In tale sforzo vanno coinvolti Medici di Medicina Generale, endocrinologi (dato il drammatico incremento di obesità, sovrappeso e diabete mellito tipo 2), ginecologi e altri professionisti sanitari che vengono per primi a contatto con tale popolazione.
- La prevenzione primaria e secondaria offre nuove modalità di trattamento anche per i classici fattori di rischio come l’ipercolesterolemia. Ad esempio gli anticorpi monoclonali per PCSK9 rispetto alle statine offrono alcuni vantaggi in alcuni subset di popolazione (15).
- Ultima considerazione: i Sistemi Sanitari Nazionali, dove esistono, vengono attualmente guidati da criteri economicistici che analizzano il passato, lo storico della spesa sanitaria, ma nessuna idea hanno del recente passato clinico delle popolazioni che assistono e men che meno del loro futuro. La conoscenza approfondita dei dati epidemiologici e di nuovi dati scientifici è fondamentale per un sano equilibrio nelle scelte di politica sanitaria, pena il paradosso: meglio curare bene un ultraottantenne che ha una speranza di vita di 5-10 anni e far morire un quarantenne che dovrebbe essere curato molto più a lungo e intensamente.
Bibliografia:
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