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come un vento lontanissimo

… poiché ciascuno di noi è innanzitutto ciò che ha letto e che legge, una traccia dei classici, anche come ‘rumore di fondo’ (per dirla con Calvino), prima o poi non può fare a meno di affiorare…

 

È questa la frase che vorrei che oggi fosse il mio inizio e la mia fine. Basterebbe insomma questa frase per dire quello che mi pare di avere da dire oggi e non parlarne più, e subito uscire di casa.

 

Ma sono insistente, invece. E confesso che tra tutte le cose che ho letto in questi giorni sul web, una di quelle che mi ha fatto più pensare è stato il monologo di Antonio Pascale a proposito di Proust e della sua Ricerca del tempo perduto. Lo trovate qui. E al netto di alcune imprecisioni del riassunto (ma riassumere la Recherche in poche righe è davvero impresa superiore alle forze di chiunque…), Pascale riesce a dire la letteratura proustiana in modi e con parole di grande e acuta puntualità. Ma soprattutto (questa è la cosa che davvero mi ha fatto più pensare, mi ha sorpreso e mi è piaciuta) è Proust che in quel monologo riesce a dire Pascale con puntualità: lasciandosi a tratti rileggere (e «tradurre» nella lingua dello scrittore contemporaneo: per esmepio quando si parla dell’amore) ma a un certo punto prendendo il sopravvento e usando la bravura di Antonio Pascale per arrivare a noi, qui, oggi, seduti davanti al pc… Eccolo:

 

Per Proust soltanto l’arte ci può salvare dall’abitudine perché ci fa vedere le cose che noi non vediamo. Proust è estremamente grato agli artisti. Tutta la sua ammirazione, il suo amore, va agli artisti. L’arte ci fa indossare degli occhiali attraverso i quali riusciamo a vedere la realtà in maniera completamente diversa. E inoltre gli artisti riescono anche a farci percepire la bellezza del quotidiano. Le più belle descrizioni di Proust sono proprio sul quotidiano, su come è bello apprezzare le piccole cose che passano davanti ai nostri occhi e noi per abitudine non vediamo. Per esempio annusare i fiori in primavera. Proust ha scritto delle cose meravigliose sull’annusare i fiori in primavera. Oppure osservare le sfumature sull’acqua marina. Leggere in treno. Pagine meravigliose. Per Proust l’arte è necessaria, è l’unica ragione per cui valga la pena vivere.

 

E la stessa cosa accade con i classici, ogni volta: accade che essi prendono il sopravvento sui loro traduttori (traditori…) e ci investono, come un vento lontanissimo. Ed è questo che mi piace che accada. E se avete ancora dei dubbi, provate a leggere questo splendido articolo a proposito di una traduzione in inglese dell’Odissea… È la storia di Ulisse, la storia di Penelope, sempre la stessa storia, sempre diversa, la storia di astuzie di eroi di navigazioni e di donne bellissime, ma soprattutto è questa storia:

 

C’è uno straniero alla porta. È vecchio, sudicio, vestito di stracci. È stanco. Vaga da molto tempo senza una casa, forse da anni. Invitalo a entrare. Non sai come si chiama. Potrebbe essere un ladro. Potrebbe essere un assassino. Potrebbe essere un dio. Potrebbe ricordarti tuo marito, tuo padre, te stessa. Non fare domande. Aspetta. Lascia che si sieda comodo, che si scaldi al tuo fuoco. Offrigli il cibo migliore che hai e un bicchiere di vino. Lascia che mangi e beva a sazietà. Sii paziente. Quando ha finito, ti racconterà la sua storia. Ascolta con attenzione. Forse non è come te la aspetti.

 

E infine di nuovo l’amore. Quello disperato, questa volta, quello folle e insensato e irrazionale, l’amore di Catullo. Perché anche delle sue poesie è uscita in questi giorni una nuova traduzione (ne trovate alcuni esempi qui) a cura di Alessandro Fo. E anche da questa nuova traduzione emergono parole antiche che sanno parlarci di noi, come sempre accade con i classici, i grandi libri che giungono da lontanissimo e dicono parole di noi stessi che noi stessi non avremmo mai sospettato che potessero in qualche modo descriverci, appartenerci, raccontarci. E invece siamo noi, quelle parole lontane. Ecco, è da Catullo che sono partito e dall’intervista al suo ultimo traduttore, che dice cose che ogni volta che leggiamo un grande libro non possiamo in nessun modo dimenticare. Tra le quali c’è anche questa, la sola che in fondo andava detta, prima di uscire di casa con le proprie parole già dette da altri:

 

… poiché ciascuno di noi è innanzitutto ciò che ha letto e che legge, una traccia dei classici, anche come ‘rumore di fondo’ (per dirla con Calvino), prima o poi non può fare a meno di affiorare…

Davide Profumo
Davide Profumo
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2 Comments

  1. Mia Castellani Mia Castellani ha detto:

    Prof, le scrivo qui perché questo è il suo articolo più recente quindi c’è una maggiore probabilità che lei mi risponda. Voglio raccontarle una cosa , non ha niente a che vedere con quest’ultimo articolo, ma secondo me è pertinente agli articoli scritti da lei in passato (anche quelli remoti di cui magari non si ricorda nemmeno più). Non stimo nessun insegnante del mio corpo docenti non perché siano cattivi, stronzi o impreparati., anzi molti conoscono molto bene la loro materia però il punto è questo … la conoscono loro. Non hanno più voglia e io mi sento così triste nel dirlo e non c’è nessuna traccia di cattiveria nelle parole che dico (spero lei mi creda). Leggendo i suoi articoli mi sono accorta di quanto ormai io sia così profondamente disillusa ( come loro). Ho iniziato a chiedermi da quanto tempo avessi smesso di interessarmi veramente a quello che studiavo … la cosa più grave è che non mi ricordo quando sia successo. Non me lo ricordo quando ho iniziato a studiare per il voto prof. Lei non può saperlo, ma quando ero in prima prof ero felice ,studiavo, avevo voglia di conoscere ,non mi importava del voto … mi ricordo a volte passavo pomeriggi interi a leggere ed approfondire, ma non per un mezzo voto di “merda”(mi perdoni) in più , ma perché ero affamata prof ,VOLEVO conoscere. Non sono un’alunna perfetta, anzi sono sempre stata una di quelle che vuole studiare solo quello che le piace e il resto lo fa ma solo per non far lamentare nessuno,non perché le interessi veramente. E’ una categoria così brutta quella in cui rientro? Ma a quei tempi prof ,mettevo così tanta passione in quello che studiavo , ripensandoci mi viene quasi da piangere. Una volta leggevo tanto, non per convenzione sociale … mi faceva sentire viva e adesso guardo la mia libreria con tristezza perché non riesco più nemmeno a completarli. Io, io che ho sempre finito i miei libri ,anche solo per una questione di coscienza ,che non mi dava pace la notte pensando che magari nelle ultime righe che avevo tralasciato ,era contenuto il significato intrinseco e io non gli avevo dato una possibilità, non gli avevo dato attenzione. Nei miei libri c’ero io prof e ora non riesco più a ritrovarmi da tanto.

    Mi scuso in anticipo per gli e/orrori di punteggiatura, questo è sempre stato il mio tallone d’Achille.

    • Davide Profumo ha detto:

      Cara Mia,
      io non ti conosco se non dalle poche righe che mi hai scritto e mi risulta pertanto molto complicato lasciarti una risposta sensata. Però, da quello che scrivi, capisco che sei molto giovane e mi dispiace leggere che ti pare di aver perso la passione per la lettura, così presto. Ma forse, mi viene da dire, non è proprio così vero; forse è una fase, un periodo di stanchezza, un po’ di disillusione, un momento di passaggio. E’ successo anche a me, e non solo una volta: mesi senza che nessun libro mi interessasse davvero, giorni e settimane in cui mi pareva di aver perduto qualsiasi passione per la poesia o la letteratura… Non era così, in verità. Forse stavo solo cercando qualche voce diversa, qualche poeta nuovo, forse ero solo stanco di me come lettore, non della lettura in sé. E forse anche a te sta succedeno questo: magari sei alla ricerca di qualcosa che ancora non sai cos’è e ti pare di aver perduto ogni passione: ma non è vero. Troverai nuove voci e troverai nuove letture. Ti auguro che sia solo questo, di più non posso fare né dire. Oppure sì, una cosa la posso ancora dire: che non è necessario finire di leggere tutti i libri, anzi; è giusto lasciare a metà (o anche prima) quelli che non meritano il nostro tempo. Perché la vita è breve e l’arte lunga, non possiamo permetterci di leggere tutto, è meglio dedicarci solo alle cose che valgono davvero la nostra attenzione. Di questo almeno, del tuo lasciare i libri a metà, non sentirti in colpa: forse è giusto, forse è solo il tuo spitrito critico che si fa sentire forte, ed è un bene. Secondo me.

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