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come le mosche

Vi si parla di persone che si suicidano, di quante sono, di come siano in aumento, di cosa stiano cercando di dire (di dirci) mentre si suicidano. Ma non solo: vi si parla anche di persone che si suicidano ma prima di suicidarsi compiono delle stragi, uccidono altre persone, tantissime altre persone. E per quanto io sappia che non c’è nulla di meno attraente, in una mattina di settembre come questa, che leggere di suicidi e di stragi, di depressione e di incapacità di continuare a vivere nel mondo (in questo mondo), nonostante io lo sappia bene, vi chiedo di dare una lettura, quando avrete tempo, a questo lungo articolo che parla appunto di suicidȋ e di suicidi: lo trovate qui, lo ha scritto Christian Raimo. Ea un certo punto dice così:

Parlare di ragioni di un suicidio sembra una contraddizione in termini. Se ci si uccide è perché viene a mancare anche l’ultimo pezzo di ragione, quella che ci permette di mettere la vita prima di ogni altra cosa. Per questo i libri, le ricerche, gli studi, gli interrogativi sul suicidio provano a esplorare le zone d’ombra o ad aggirare quello che è un paradosso: ogni 40 secondi un essere vivente sembra decidere qualcosa che va contro le leggi della sopravvivenza, sovverte il darwinismo (“la natura non produrrà mai in un essere qualcosa di dannoso per sé stessa, poiché la selezione naturale agisce esclusivamente da e per il bene di ciascuno”, si legge ne L’origine delle specie). Perché? La gamma dei tentativi di risposte si suddivide in due sottoinsiemi. Quelli che affrontano il paradosso scavando nel cuore di tenebra dell’uomo, e quelli che cercano di conciliare il paradosso suicidario con le leggi di natura sull’evoluzione. La si fa finita perché non si è riusciti a adattarsi. Oppure: la si fa finita perché in questo modo la specie si adatta meglio (espellendo un individuo con problemi di adattamento). Il suicidio sarebbe dunque una resistenza a un mondo in cui è sempre meno facile adattarsi, oppure un gesto paradossalmente congruo con un’evoluzione che non richiede forse la nostra presenza.

Ma prima di arrivare a scrivere questo, Raimo ha anche citato scrittori e pensatori che si sono suicidati, e sono tutti scrittori e pensatori che amo e ho amato anch’io. Come David Foster Wallace, quasi naturalmente; e come Mark Fisher, che scrisse così:

La pandemia di angoscia mentale che affligge il nostro tempo non può essere adeguatamente compresa, o curata, se vista come un problema privato sofferto da individui danneggiati.

E poi anche così:

La depressione collettiva è il risultato del progetto di re-subordinazione messo in opera dalla classe dirigente contemporanea. Per qualche tempo, abbiamo accettato l’idea che non eravamo il tipo di persone che possono muoversi, agire. Non per una mancanza di volontà, ma perché la ricostruzione della coscienza di classe è un processo assai arduo, e la soluzione non può essere preconfezionata. Ma, a dispetto di ciò che la nostra depressione collettiva ci indica, si può fare. Inventare nuove forme di coinvolgimento politico, facendo rivivere istituzioni che sono diventate decadenti, convertendo la disaffezione individuale in rabbia politicizzata: tutto questo può accadere. E quando accade, chi lo sa che cosa può succedere?

Sono tutti spunti che trovate nell’articolo linkato, insieme a molti altri. Aggiungo, quasi con pudore, soltanto una mia piccola postilla. È uscito un libro, questa primavera, che in qualche modo prova ad affrontare lo stesso tema, quello del suicidio. Lo ha scritto la spagnola Clara Usón e ha come titolo L’assassino timido, che è una definizione che del suicida aveva dato Cesare Pavese, un altro scrittore a cui potremmo chiedere luce e aiuto. Anche Clara Usón, come Raimo, parte dalla domanda che si pose Albert Camus scrivendo Il mito di Sisifo, la domanda a cui è necessario rispondere preliminarmente, prima di tutto ma anche continuamente, giorno per giorno, durante tutto. La trovate tanto nel romanzo spagnolo quanto nell’articolo di Raimo, questa domanda. Ve la lascio stamattina come un piccolo spunto settembrino, insieme all’augurio che sia, quello che comincia oggi, un anno di risposte importanti.

Davide Profumo
Davide Profumo
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