CIN: Il danno renale da mezzo di contrasto
17 Marzo 2017
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CIN: Il danno renale da mezzo di contrasto

A cura di Claudio Fresco

CIN CIN per coloro che vivono dalle mie parti è l’augurio che ci si scambia prima di un brindisi, CIN CIN per quelli non proprio giovincelli era la sigla di un programma cult di vent’anni fa, Colpo Grosso. CIN per i medici è però anche l’acronimo inglese di Contrast Induced Nephropathy, in italiano Danno renale da mezzo di contrasto, che è stato per anni definito in numerosi studi come l’aumento post-procedurale della creatinina superiore al 25% rispetto al valore basale. Più recentemente la definizione della CIN è stata rivista e l’aumento della creatinina necessario per parlare di CIN deve essere superiore a 1.5 volte il livello basale.(1)

Per anni è stato lo spauracchio dei cardiologi clinici e degli emodinamisti, dopo che è stato dimostrato che i pazienti che sviluppano una CIN hanno un rischio di mortalità a 30 giorni otto volte superiore a quello dei pazienti che non sviluppano una CIN (16.4% vs. 2.0%, p<0.0001) e 4.5 volte superiore a tre anni (22.4% vs. 5%, p<0.0001). Per questo motivo, le Linee Guida raccomandano di sottoporre i pazienti ad alto rischio di sviluppare una CIN a idratazione pre-procedurale. Degno di menzione è il fatto che tale raccomandazione ha un livello di evidenza C, cioè deriva da «consenso degli esperti» in assenza di dati controllati. Recentemente, su una rivista importante ma di nefrologia, e quindi un pochino fuori dalla vista dei cardiologi, è uscita una revisione della letteratura sull’argomento, che conclude che il rischio di nefropatia da mezzo di contrasto è sovrastimato dai clinici(2).

La patogenesi della CIN è complessa, e verosimilmente multifattoriale. Le ipotesi più gettonate sono la vasocostrizione renale, che a sua volta causa ischemia midollare(3-4), e il danno da radicali liberi(5).

Molti trattamenti sono stati provati per prevenire questo evento, con risultati talmente altalenanti e inconsistenti che alla fine è rimasto in piedi solo il più semplice, cioè l’idratazione. Tra i vari tentativi, meritano una menzione il fenoldopam, vasodilatatore costosissimo, che ai prezzi attuali (235 euro a fiala) costa quasi più della coronarografia; l’N-acetil cisteina a vari dosaggi (il vecchio Fluimucil), che oltre che curare la bronchite cronica avrebbe dovuto proteggere anche i reni, e molti altri. Alla fine, dopo tanti tentativi è rimasta solo l’idratazione.

Più recentemente dall’Olanda è arrivato un risultato che ha lasciato tutti perplessi(6). Gli autori hanno randomizzato 660 pazienti per i quali le linee guida raccomandano l’idratazione pre-procedurale (pazienti con filtrato renale compreso tra 30 e 59mL/min), a ricevere un’idratazione con soluzione fisiologica (1mL/kg/ora 12 ore prima e 12 ore dopo la procedura, o 3-4mL/kg/ora 4 ore prima e 4 ore dopo la procedura) oppure nessuna idratazione. Il lavoro è stato pubblicato su Lancet, non su una rivistina parrocchiale. L’endpoint primario era la comparsa di una CIN, definita classicamente come l’incremento della creatinina post-procedurale superiore del 25% rispetto al valore basale, o un aumento di 44 micromoli. Lo studio è stato disegnato come uno studio di non inferiorità. I risultati hanno evidenziato che l’incidenza della CIN è stata praticamente sovrapponibile (2.6% con l’idratazione contro 2.7% senza idratazione). Dove le due strategie si sono diversificate è stato negli eventi avversi, con 13 casi di scompenso cardiaco sintomatico nei pazienti sottoposti a idratazione. Nessun paziente ha avuto bisogno di ricorrere alla dialisi o all’ammissione in terapia intensiva. Anche la durata dell’ospedalizzazione è stata superiore di un giorno nei pazienti sottoposti a idratazione.

La conclusione degli autori è stata che non sottoporre a idratazione i pazienti con disfunzione renale lieve moderata è non inferiore a una strategia di idratazione profilattica.

Questo studio nella sua semplicità ha naturalmente generato molti commenti, alcuni tecnici, altri statistici, ma nella sua semplicità è ammirevole e ci dovrebbe insegnare (come scritto su Medscape) a: (a) diffidare delle opinioni degli esperti; (b) guardare con sospetto a opinioni non supportate da dati controllati; (c) a riconsiderare la stessa esistenza della CIN. Naturalmente questi risultati non applicano ai pazienti con filtrato inferiore a 30 mL/min.

Bibliografia:

  1. Lewington A, MacTier R, Hoefield R, Sutton A, Smith D, Downes M. Prevention of contrast induced acute kidney injury (CI-AKI) in adult patients. London: The Renal Association, The Royal College of Radiologists and The British Cardiovascular Intervention Society, 2013. Available from: https://www.rcr.ac.uk/publications.aspx?PageID=310&PublicationID=391
  2. Emilee Wilhelm-Leen, Maria E. Montez-Rath, Glenn Chertow. Estimating the Risk of Radiocontrast-Associated Nephropathy. JASN 2017 28 no. 2 653-659.
  3. Weisberg LS, Kurnik PB, Kurnik BR. Radiocontrast-induced nephropathy in humans: Role of renal vasoconstriction. Kidney Int. 1992; 41: 1408–15.
  4. Brezis M, Rosen S, Silva P, Epstein FH. Selective vulnerability of the medullary thick ascending limb to anoxia in the isolated perfused rat kidney. Clin. Invest. 1984; 73: 182–90.
  5. Tumlin J, Stacul F, Adam A, et al. Pathophysiology of contrast-induced nephropathy. J. Cardiol. 2006; 98: K14–20.
  6. Nijssen EC, Rennenberg RJ, Nelemans PJ, et al. Prophylactic hydration to protect renal function from intravascular iodinated contrast material in patients at high risk of contrast-induced nephropathy (AMACING): A prospective, randomised, phase 3, controlled, open-label, non-inferiority trial. Lancet 2017; DOI:10.1016/S0140-6736(17)30057-0.

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Claudio Fresco
Claudio Fresco
Past President. Dipartimento di Scienze Cardiotoraciche Azienda Ospedaliero-Universitaria “Santa Maria della Misericordia” - Udine

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