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ci sono uno scrittore, un libraio e un medico…

Lo scrittore Claudio Morici, qualche giorno fa, ha scritto un lungo e bell’articolo sulle librerie che chiudono. Lo ha fatto cominciando così:

Nel 1992 avevo vent’anni, volevo fare lo scrittore e allora mi capitava di entrare in libreria e di rubare libri. Mi sentivo in diritto, era una sorta di borsa di studio che mi davo da solo, visto che di lì a poco ne avrei scritto di bellissimi anch’io. Per il momento, però, ero solo un maestro nel disattivare la fascetta magnetica contenuta all’interno dei volumi, che faceva suonare l’allarme all’uscita. Ci scrissi anche un breve saggio sotto pseudonimo. Per favore, non cercatelo su internet.

Un discorso già sentito, ma Morici (che lo ha intitolato Il delitto perfetto) riesce a condurlo con alcuni elementi di novità, degni di attenzione. Anche perché non si limita a cercare e individuare un colpevole, un cattivo (esemplare il passaggio su Amazon: «Parlando con i piccoli librai romani, quasi nessuno mi è sembrato spaventato da questo mostro [che è Amazon]. Come mi spiega Francesco Mecozzi di Giufà: “Spesso non abbiamo il libro che stai cercando, mentre Amazon te lo porta a casa il giorno dopo. Mi chiedo però: se solo quattro italiani su dieci leggono un libro all’anno, ti pare che quel libro se lo devono leggere proprio domani mattina?”»). Egli, in verità, cerca di raccontare una storia più complicata, con tanti colpevoli che sono in parte anche vittime e alcune vittime (magari i lettori) che sono anche, in parte, colpevoli. E traccia quindi un profilo interessante della realtà delle librerie indipendenti in Italia e del futuro che potremmo aspettarci da loro e per loro.

E forse la storia più inquietante che racconta è quella di un altro Claudio (che di cognome fa Madau, ed è esattamente un libraio) e che può interessare moltissimo voi medici ospedalieri. La storia è questa:

Claudio Madau, 37 anni, libraio di Roma. È stato premiato dal presidente della repubblica Sergio Mattarella perché “esempio di civiltà”. È diventato una specie di eroe nazionale insieme ad altre 33 persone perché si è inventato “Dottor libro”: presentazioni di libri organizzate in ospedale. Il 5 marzo scorso, quando gli hanno dato la medaglia – con la cerimonia, le telecamere dei tg e tutto il resto – chissà se hanno anche capito che la sua libreria, proprio accanto all’ospedale San Giovanni, ha chiuso da tempo. In due anni e mezzo di lavoro estenuante, senza aiuti, senza finanziamenti, hanno provato a vendere libri e a dare “esempi di civiltà”, ma non guadagnavano niente.

Ecco insomma, avete capito: la realtà, anche quella dei libri e delle librerie, è sempre più complessa, sia dei proclami sia delle premiazioni sia delle apocalissi minacciate e improvvise. E forse non sarà inutile leggersi l’inquietante (per me) apologo scritto in questi giorni da uno scrittore americano, Scott Spencer, il quale ci racconta di un possibile destino di quella noi tendiamo a chiamare «cultura» e che affidiamo volentieri ai nostri libri. Lo trovate qui, l’apologo. Quando però sarete arrivati alla fine, non fermatevi, non scuotete semplicemente il capo, non abbandonatevi alla tristezza e al pessimismo (viene la tentazione, lo so). C’è un’altra notizia (a proposito di libri) che volevo darvi e magari un po’ ve la farà passare: è questa, dice che i libri possono anche essere medicine, dice che l’idea dei libri in ospedale non è così da sottovalutare, dice che in fondo il libraio può essere anche un farmacista…; e c’è anche un terzo Claudio, di cui volevo parlare. Lo conoscete più o meno tutti, è collega vostro e amico mio, cardiologo e scrittore, ha voluto già molti anni fa una libreria nell’ospedale e ha pubblicato da poche settimane un libro di racconti ambientati in ospedale. Dice molte cose, questo libro, ma soprattutto dice che la prima cura è la cultura, la lettura, la capacità di leggere una pagina e riconoscere in essa l’altro, anche quando sia medico o paziente o vicino di letto o parente del paziente. E lascia intuire che sia questo, più di ogni medicina, il metodo più certo per guarire.

Davide Profumo
Davide Profumo
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5 Comments

  1. .mau. ha detto:

    C’è però un punto che non mi torna in tutte queste analisi. Avevo letto il post di Davide Morici, e confermo che è abbastanza raro che un libro ci serva proprio oggi e non possiamo aspettare una settimana. (Se guardo la mia pila di libri comprati e non ancora letti, anche “un mese o un anno”).
    Il vero problema è che un libraio, per quanto bravo sia, non può dare giudizi sui 65000 libri che escono ogni anno. E il valore aggiunto del libraio è per l’appunto avere qualcuno con cui parlare. Ovviamente non ho una risposta: in una grande città posso aspettarmi che ci siano più librerie e quindi i librai si “specializzino” secondo i propri gusti. Ma in una cittadina? Forse bisognerebbe anche pensare a gruppi di appassionati aiutati dal libraio (nel senso che possa offrire loro degli spazi..)

    • Davide Profumo ha detto:

      Infatti la cifra 65.000 è uno dei temini del problema, secondo me il più rilevante. A un editore pubblicare un libro costa davvero molto poco, ormai,. Il che rende inevitabile un fenomeno di inflazione delle uscite che disorienta qualsiasi lettore, anche i più forti. Il libraio che sa consigliare e parlare di libri è una risposta soltanto parziale (come altre lo sono). Ci teniamo quella, intanto.

  2. .mau. ha detto:

    (tanto lo so che per i 65000 libri la colpa è anche mia)

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