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chi è in gabbia?

C’è una risposta, tra quelle che dà Fabio Pusterla a proposito di come si insegna la poesia oggi e di come potrebbe essere insegnata e dell’utilità che può ancora avere, oggi, insegnare e imparare la poesia, c’è una risposta che a me è sembrata davvero importante.

La domanda gliela fa Massimo Gezzi, in una breve intervista che inaugura una interessante rubrica. La rubrica si intitola «Visite allo zoo» e parte proprio dai quesiti sula letteratura che ho provato a riassumere poche righe sopra, che sono quelli che noi, che leggiamo e proviamo a insegnare la letteratura, ci poniamo tutti i giorni (e sbagliamo, nei giorni in cui per pigrizia non ce li poniamo). Ma il titolo della rubrica, «Visite allo zoo», implica una considerazione più profonda, un interrogativo più puntuale, questo (nelle parole dello stesso intervistatore):

I poeti somigliano sempre di più ad animali in via di estinzione o esotici relegati in uno zoo (la scuola, l’aula) e affidati a dei custodi (gli insegnanti). Senza questo recinto istituzionale, la poesia tutta – anche quella altissima: poniamo Dante, Leopardi, Montale – avrebbe ben poche chances di essere letta dalle nuove generazioni.

Ecco allora che la risposta di Pusterla diventa preziosa e importante e ci dice qualcosa su cui varrà, a mio parere, la pena di riflettere. Eccola (trovate tutto qui, in ogni caso: domande e risposte e anche il mio desiderio che escano altre puntate di questa rubrica):

L’immagine dello zoo e delle gabbie è suggestiva ma enigmatica; chi è in gabbia? Il poeta o chi non conosce la poesia e la sua capacità di scendere nel profondo di noi stessi? Perché mi sembra che la sfortuna della poesia sia anche il venir meno di una antropologia, di una profondità psichica e culturale negata, rimossa, ignorata. L’eclissi della poesia si accompagna all’affievolirsi di molte altre cose; e ogni tanto, quando riesco a non essere troppo negativo, ho l’impressione che la parola, la pratica della parola poetica, mi renda più libero, più padrone di me e più capace di leggere il mondo. Allora: chi è in gabbia?

Ecco, ho finito. Se non che, a proposito di poeti e di gabbia, non mi pare bello lasciarvi senza citarne uno, uno dei più giovani e belli e liberi e incomprensibili che la storia della letteratura ci abbia regalato (lui, a scuola, ha sempre successo, suscita ancora domande: lo sguardo stupito dei miei studenti, da sempre suoi coetanei, lo insegue da decenni di lontananza e non lo raggiunge mai). Sono infatti uscite le opere di Arthur Rimbaud, poeta, in una nuova traduzione in italiano. Mi pare un libro importante, ve lo consiglio, soprattutto se da tanti anni non leggete poesie, se le avete lette solo a scuola, se ve le siete dimenticate tutte. Qui ne trovate alcuni esempi, con alcune osservazioni importanti della traduttrice. Vi consiglio la terza, in particolare, quella che inizia così: Ho abbracciato l’alba d’estate… È una «illuminazione» meravigliosa, una scheggia impazzita di luce ben difficile da dimenticare. Ma vi consiglio tutto il libro, sinceramente. Potrebbe essere il vostro modo di aprire la gabbia di quel ragazzo poeta francese appena diciassettenne, rimasto troppo a lungo chiuso là dentro. O forse, invece, si trattava di aprire la vostra, di gabbia, non mi ricordo più.

Davide Profumo
Davide Profumo
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