storie vere e storie false
17 Dicembre 201701 – Lettura – How can we reduce the global burden of CVD by half in a generation?, di S. Yusuf
18 Dicembre 2017A cura di Marta F. Brancati
Zocca P, van der Heijden LC, Kok MM, et al. Clopidogrel or ticagrelor in acute coronary syndrome patients treated with newer-generation drug-eluting stents: CHANGE DAPT. EuroIntervention 2017;13:1168-1176.
Come è noto, l’attuale cardine della terapia antiaggregante nel trattamento delle sindromi coronariche acute (SCA) si fonda sull’utilizzo di farmaci più efficaci del clopidogrel. Tale scelta, basata sulle evidenze scientifiche, è oggi ampiamente raccomandata dalle linee guida, che “pigiano” con forza sul pedale dell’antiaggregazione più potente. Di contro, la tecnologia innovativa degli stent medicati di ultima generazione, conferendo a tali dispositivi una bassissima trombogenicità, tale da abbattere decisamente il rischio di trombosi in stent, sembra “tirare il freno” alla corsa contro la trombosi, in nome di una maggiore sicurezza.
Nello studio osservazionale CHANGE DAPT si è cercato di confrontare l’efficacia e la sicurezza del clopidogrel vs ticagrelor nel trattamento delle SCA sottoposte ad angioplastica con impianto di stent medicati di ultima generazione.
Sono stati arruolati 2062 pazienti, di cui 1009 trattati con clopidogrel e 1053 con ticagrelor; l’endpoint primario era costituito dal netto degli eventi clinici (morte per tutte le cause, infarto miocardico, ictus e sanguinamenti maggiori) a un anno. Da notare che la popolazione trattata con ticagrelor era leggermente più anziana (62.9 ± 11.6 vs 63.9 ± 12.1, p = 0.04). Nel “gruppo ticagrelor”, l’incidenza dell’endpoint a un anno era più alta del “gruppo clopidogrel” (7.8% vs. 5.1%; HR 1.53 [95% CI: 1.08-2.17]; p=0.02). Nei pazienti trattati con ticagrelor è risultata più alta l’incidenza di eventi emorragici (2.7% vs 1.2%, p= 0.02), senza benefici in termini di eventi ischemici. L’analisi multivariata, aggiustata per propensity score (trattandosi di uno studio retrospettivo), ha confermato un maggior rischio di eventi clinici netti (adj. HR 1.75 [95% CI: 1.20-2.55]; p=0.003) e di sanguinamenti maggiori (adj. HR 2.75 [95% CI: 1.34-5.61]; p=0.01) durante la terapia con ticagrelor.
Naturalmente il CHANGE DAPT ha tutti i limiti degli studi osservazionali; ha anche il pregio, però, di individuare una popolazione “real-world”. È sempre più chiaro che la terapia antitrombotica debba essere “cucita addosso” al singolo paziente, sulla base del suo rischio trombotico, del suo rischio emorragico, della sua fragilità. Lo studio PEGASUS, che evidenzia un possibile beneficio nel prolungare la terapia con ticagrelor, suggerisce come tale beneficio sia presente nei pazienti ad elevato rischio trombotico, non tanto per la prevenzione della trombosi in stent (evento effettivamente raro con i nuovi dispositivi), quanto per la prevenzione del rischio globale di nuovi eventi cardiovascolari. D’altro canto, nel vasto studio SWEDEHEART, il ticagrelor aveva dimostrato un beneficio in termini di mortalità, ma era stato prevalentemente somministrato a pazienti a basso rischio emorragico. Dunque occorre “selezionare” la popolazione. Ciò è vero quando si tratta di prolungare la terapia oltre i 12 mesi, ma potrebbe essere vero anche nell’ambito dei 12 mesi.
È questo il messaggio che studi come il CHANGE DAPT possono dare. Ed è proprio il concetto di terapia “tailored” che potrebbe diventare (ma forse lo sta già diventando) il riferimento per i prossimi anni.