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ceti cosiddetti istruiti

Propongo due spunti di riflessione, oggi pomeriggio: due riflessioni importanti, su cui immagino che torneremo, ma che intanto prevedono la lettura di alcuni post, anche impegnativi e senz’altro interessanti.

 

La prima riflessione è quella sui vaccini e i cosiddetti antivaccinisti. Sono state scritte molte cose in questi ultimi giorni e non è stato facile, almeno per me, orientarmi entro quello che accadeva e veniva detto e scritto sulla rete e sui giornali. Il post più esauriente e completo sull’argomento mi pare sia però quello scritto da Erik Boni, efficace e puntuale e molto ricco di stimoli e riflessioni non banali. Ve lo propongo come lettura importante e impegnativa, sapendo che dovrete trovare una mezz’ora libera e serena, per affrontarlo. Si intitola «Le virtù dell’ignoranza e le ragioni degli antivaccinisti» e inizia così:

 

Esiste una pratica medica che permette di acquistare l’immunità da una pericolosissima malattia infettiva, molto contagiosa e spesso mortale; quando non procura la morte c’è comunque il pericolo di riportare danni permanenti, di perdere la vista o rimanere con cicatrici devastanti sul volto. Ci sono anche dei rischi, modesti, associati a tale pratica ma statistiche alla mano gli esperti assicurano che conviene e che se fosse universalmente adottata molte vite umane sarebbero salvate. Tuttavia, vi sono molte resistenze all’adozione di questo rimedio, tante persone non si fidano o comunque ritengono legittimo anteporre le loro personali preferenze, anche di tipo morale, al benessere della collettività, resistendo alla invasione da parte delle autorità, sia mediche che politiche, nella sfera che riguarda la loro salute e il loro corpo. La parte migliore della società, quella più illuminata, reagisce denunciando la superstizione, la credulità popolare e l’oscurantismo che impediscono alle ragioni della scienza di trionfare. Inutilmente, perché il popolo ignorante non si lascia convincere.

Non è l’anno 2015, e non stiamo parlando delle vaccinazioni. Siamo nel XVIII secolo, e infuria nei salotti europei il grande dibattito sulla ‘variolizzazione’, ovvero l’inoculazione di materiale infetto, preso dalle pustole di un altro malato di vaiolo, a scopo di immunizzazione. Non si tratta della vera e propria vaccinazione, introdotta da Jenner solo alla fine del secolo, anche se le affinità tra i due metodi sono piuttosto evidenti, e identico lo scopo: conseguire l’immunità, non isolandosi ed evitando l’agente infettivo ma anzi venirgli incontro, scendere a patti col nemico, in quella che può essere considerata una strategia di riduzione del danno.

 

Ma, se non avete oggi il tempo necessario e volete comunque farvi un’idea del dibattito in corso (voi siete medici, avete senz’altro già un’idea della questione… ma il dibattito, come immaginate, segue strade tutte sue), potete accontentarvi di questo breve articolo di Giuszeppe Sciortino, che riesce in poche righe a mettere sul tavolo problemi molto interessanti, uno dei quali è questo:

 

È in corso, e non da pochi anni, una secessione silenziosa dei ceti istruiti da due istituzioni che sembravano essere in precedenza la loro stessa ragione d’essere. Chi rifiuta i vaccini non ignora la conoscenza scientifica, ritiene semplicemente di essere in grado di distinguere da solo tra quello che è «veramente» scientifico e quello che è frutto dell’oscuro agitarsi delle multinazionali. Chi rifiuta i vaccini non ignora le competenze dei medici. Ritiene semplicemente di sapere riconoscere da solo se quello che dicono è parte di una superiore conoscenza professionale oppure del loro appetito finanziario. Col risultato di trasformare le conoscenze scientifiche e la diagnosi professionale in un repertorio dal quale si può estrarre qualcosa serenamente tralasciando tutto il resto. Con l’esito di vedere genitori postare su Facebook allo stesso tempo letteratura contro i vaccini e commenti indignati verso i politici che negano il riscaldamento globale. E’ il trionfo della scienza fai da te e del professionista visto come commesso…

 

Immagino che, essendo medici, abbiate ben presente ciò di cui Sciortino sta parlando, ahimè. E va detto che non sempre l’informazione è esente da colpe, e che non sempre i libri aiutano, e che non sempre gli editori fanno davvero il loro mestiere come dovrebbero, e che non sempre i modi per vendere un libro in più prima che sia Natale (quando anche i libri brutti si vendono da soli), è un modo intelligente e corretto. Dunque, a proposito di scienza maltrattata, mi pare che si possa ribadire quello che oggi sottolinea, in poche efficacissime ssime righe, Luca Sofri sul suo blog. In un sapido post che vi consiglio caldamente e che si intitola: «La scienza conferma».

 

C’è poi la seconda riflessione, più leggera della prima (e senza nessuna parentela con essa, perdonatemi). Riguarda il libro più presentato in tv e più venduto nelle librerie italiane negli ultimi giorni (le due cose, ci mancherebbe, non sono mica collegate tra loro) (e sarà anche uno dei libri più regalati a Natale, vedrete). Il libro si intitola Ognuno potrebbe e viene presentato come il ritratto di un trentenne precario (e se c’è un trentenne… è precario), a disagio nei suoi tempi (che sono i nostri tempi) in cui gli smartphone hanno preso il posto delle conversazioni tra le persone, sui treni (io però sono abbastanza vecchio da ricordarmele, le conversazioni sui treni tra le persone, e non mi pare che meritino questo granché di nostalgia, a dirla tutta).

 

L’autore, Michele Serra, ha alle spalle una lunga storia di autore «di sinistra», diciamo così. La trovate ben riassunta sulla solita wikipedia, che vi rammenterà il settimanale satirico «Cuore», di cui in tanti ci beammo negli anni ’90 , così come vi sarà ivi rammentato il fatto che egli è coautore del programma televisivo «Che tempo che fa», entro il quale il suo libro è stato, tra molte simpatiche battute, presentato durante una sua intervista.

 

Ha pertanto (considerato tutto questo) suscitato in me un certo stupore leggere una recensione se non entusiasta di certo molto positiva di Vittorio Feltri (sapete chi è, anche lui) al libro di Serra. Perché Feltri scrive cose così ovvie che lo riconosco subito in tutto il suo “pensiero” (le virgolette non sono casuali); e Serra probabilmente è un autore che si sente molto lontano da Feltri, quando scrive i suoi romanzi e anche i suoi pezzi su «Repubblica». E quindi…

 

E quindi, per fortuna mia, lo stupore che mi aveva preso si è subito affievolito quando ho trovato in rete un’altra recensione su un altro quotidiano per niente «di sinistra». L’ha scritta Piero Vietti ed è molto bella e molto brillante. Ed è anche molto convincente, e un po’ me ne sono dispiaciuto, perché sono stato subito d’accordo con lui, ahimè. E per niente d’accordo con Michele Serra, purtroppo, quello di «Cuore», se vi ricordate. E a questo punto nemmeno con Vittorio Feltri, però, per mia fortuna. E siccome le stroncature ci piacciono molto (già lo sapete) ve ne propongo un estratto assai corrosivo (e personalmente altrettanto condivisibile):

 

Come in tante delle sue rubriche su Repubblica, Serra identifica uno dei nemici principali dell’uomo moderno con la tecnologia, e in particolare con il web e con gli smartphone. Sono loro i protagonisti negativi del libro, gli oggetti che causano la Sindrome dello Sguardo Basso per cui si finisce all’ospedale dopo un incidente causato dalla digitazione di un messaggio, sono il muro di incomunicabilità tra Giulio e la sua ragazza, tra Giulio e il resto del mondo. Volendo piegare la realtà alla sua tesi, Serra riduce i selfie a “masturbazione”, il desiderio di condividere a “narcisismo”, sfiorando appena la superficie di un fenomeno tanto interessante quanto poco inscatolabile in definizioni del passato (ancorché ancora utilizzabili) […]

Serra è furbo, bastava guardare la gallery fotografica su Repubblica.it della sua presentazione alla Feltrinelli di Genova: tra il pubblico molti suoi coetanei, pochi trentacinquenni, pochissimi giovani. Serra sa di scrivere per la sua generazione, e mette in fila per loro i luoghi comuni che si affacciano nella testa dei sessantenni quando vedono una persona camminare per strada guardando il proprio smartphone. “Ognuno potrebbe” non è un romanzo per i trentacinquenni, che solo a fatica ci si riconoscerebbero. La lamentela sulle troppe rotonde che fanno perdere la strada a chi guida è certamente un’esperienza che in tanti hanno fatto, ma funzionava negli anni Novanta, forse. Se il presente è fatto di rotonde e “posti di merda” che l’amico ottimista di Giulio chiama “non luoghi”, il futuro è un’assenza, nella narrazione di Serra. Non compare all’orizzonte mai, non dà respiro ai giorni del protagonista, ma neppure glielo toglie. Semplicemente non c’è.

Davide Profumo
Davide Profumo
La mia pagina Facebook: https://it-it.facebook.com/davide.loscorfano

1 Comment

  1. angelo ha detto:

    Io però, glielo assicuro, ricordo con grande nostalgia il settimanale “Cuore” e le risate che mi faceva fare. Anche in treno, consentendomi spesso di evitare le conversazioni con i vicini di posto.

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