raccontarsi
9 Ottobre 2019la possibilità di un canone
16 Ottobre 2019Durante la settimana scolastica che è appena trascorsa, sono entrato nelle classi di liceo in cui sono insegnante di letteratura italiana e ho fatto un esperimento. L’ho fatto per caso, non l’avevo in nessun modo programmato, è successo davanti ai quattordicenni che mi hanno posto una questione ingenua a cui io ho replicato con una domanda e, siccome la risposta mi ha stupito, ho pensato di ripetere la domanda anche davanti ai sedicenni e poi ai diciottenni. A tutti ho quindi chiesto se riuscivano a darmi una definizione di letteratura. E tutti si sono quasi subito arenati.
I quattordicenni usavano il lessico tipico delle scuole medie per venirne fuori, e cioè gli «antagonisti», gli «attanti», la «narrazione», io pensavo «poveri noi». I sedicenni sono stati più istintivi e dicevano cose tipo «poesia» o «epica» o «esprimere sentimenti». I diciottenni sono stati più cauti, sono grandi, sanno che è necessario essere prudenti, anche loro si sono sorpresi di non riuscire a dare facilmente una definizione precisa della letteratura, dopo tutta quella che li ho costretti a studiare in questi anni, avranno pensato, lo pensavo anch’io nello stesso istante. Ma comunque, con tutti, abbiamo alla fine deciso che con la letteratura c’entra sempre la «finzione». E di questo ci siamo accontentati, poi siamo andati avanti, abbiamo pensato fosse sufficiente e non ci abbiamo pensato più. La letteratura ha a che fare con cose finte, va bene così.
Poi però, ieri pomeriggio, ho letto un lungo (e anche un po’ magmatico) post di Demetrio Paolin e mi pare che ci siano dentro le risposte migliori alla domanda su cosa sia la letteratura; e sul perché, per esempio, quella di Anna Frank possa essere definita «letteratura», e quella di Primo Levi ancora di più. Nonostante sia Ana Frank sia Primo Levi siano, a tutti gli effetti, testimoni di un evento reale, altro che finzione. Il post dice tante cose, alcune importanti e puntualissime, su cui vale la pensa di riflettere assai. Per esempio questa:
La spettacolarizzazione della Shoah, che ha come punto di partenza il film di Begnini La vita è bella, il quale ha compiuto quasi esclusivamente danni, è un fenomeno che in questo inizio di XXI secolo dovrebbe essere maggiormente studiato. La spettacolarizzazione va di pari passo con la negazione di quest’evento cruciale. Sembra esserci una relazione diretta: più la Shoah diventa memoria comune, più diventa oggetto di giornate, di film, sfondo di libri, maggiore è il numero di coloro che la negano, la deturpano, pongono dubbi rispetto alla ri-costruzione storica. La spettacolarizzazione toglie il tragico, fa sì che quel grumo di colpa metafisica che è il buco del culo della Storia ovvero Auschwitz diventi accettabile. La spettacolarizzazione ha reso pop l’anus mundi del campo di concentramento, ha reso tutto spudorato; chiunque, per questo motivo, si sente in diritto di fare della Shoah quello che vuole: può farci ironia, degradarla a barzelletta, schernirla e – perché no?- di negarla.
O anche questa:
Basta digitare sul motore di ricerca “siamo+tutti+anne+frank+immagini” per essere travolti da una moltiplicazione della foto di questa ragazza: con la maglia del Napoli, della Juventus, del Toro, del Bologna, sulle felpe di alcuni tifosi mentre entrano allo stadio, sulle magliette che i giocatori indossano durante il riscaldamento, sulle prime pagine dei giornali etc etc. Anne Frank diventa qualcosa di seminale, che si perde tra i diversi marchi che lentamente scivolano dietro le spalle dei calciatori durante le interviste post partita o diventa come quei cartelloni pubblicitari messi tra primo e secondo tempo quando vengono richieste due frasi a caldo a un giocatore della squadra. La dominante, rispetto a queste due frasi, è fastidio.
Ma si tratta solo dell’inizio. Il post è lungo e merita attenzione (lo trovate qui) e dice alla fine alcune cose molto interessanti su cosa sia la letteratura e su come possa essere, almeno secondo noi, insostituibile.
Però, lo immagino, non tutti hanno il tempo per una lettura così impegnativa. Ecco, per quelli che non hanno tempo, ho avuto un’altra idea. Me l’ha data un breve articolo a proposito di un libro di vent’anni fa. Il libro è Brevi interviste con uomini schifosi di David Foster Wallace. Il post lo ha scritto Clery Celeste e lo trovate qui. Mi ha ricordato una frase dello scrittore americano che non ricordavo di avere letto e che vorrei ripetere agli studenti di quattordici sedici e diciotto anni, che avrò davanti a me a partire da domani. La frase prova a spiegare cosa sia la letteratura ed è questa:
C’entra l’amore, la disciplina necessaria a far parlare quella parte di sé capace di amare anziché quella parte che vuole essere amata.
E ho pensato finalmente, ecco sì, è vero, c’entra l’amore.