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Cause di morte nei pazienti con fibrillazione atriale in terapia anticoagulante

A cura di Antonella Potenza

Gómez-Outes A., Lagunar-Ruíz J., Terleira-Fernández, Calvo-Rojas A.G., Suárez-Gea M.L., Vargas-Castrillón E., Causes of Death in Anticoagulated Patients With Atrial Fibrillation, J Am Coll Cardiol 2016;68:2508-2521.

I pazienti con fibrillazione atriale appositamente trattati con gli anticoagulanti per ridurre il rischio di ictus ischemico, che è spesso un evento fatale o causa di disabilità neurologiche permanenti, presentano comunque un rischio residuo di mortalità per cause indipendenti dall’ictus oppure collegate al sanguinamento – uno degli effetti collaterali della terapia anticoagulante –, in particolare morte improvvisa e scompenso cardiaco.

Uno studio pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology sottolinea che i pazienti con fibrillazione atriale beneficerebbero di un programma terapeutico multidimensionale, cioè che non si limiti alla terapia anticoagulante, ma si indirizzi alla molteplicità delle comorbidità che frequentemente accompagnano la fibrillazione atriale.

 

Questo studio è una metanalisi di trial randomizzati di confronto fra anticoagulanti orali diretti (ACOD) e warfarin per la prevenzione di ictus ed embolie sistemiche nei pazienti con FA, avente come endpoint la mortalità.

In totale, sono stati inclusi 71.683 pazienti di 4 trial (134.046 anni-paziente di follow-up). La frequenza di mortalità è risultata del 9% durante il follow-up. Il tasso di mortalità aggiustato era pari al 4,72%/anno. Quasi la metà dei decessi era di origine cardiologica (46%), cioè morte cardiaca improvvisa, scompenso cardiaco e infarto miocardico, mentre una minoranza era associata a ictus non emorragici (5,7%) o a eventi emorragici (5,6%).

Rispetto ai pazienti che sopravvivevano, quelli che morivano avevano più frequentemente una storia di scompenso cardiaco (OR: 1,75), di FA permanente/persistente (OR: 1,38) o diabete (OR: 1,37), erano più frequentemente di sesso maschile (OR: 1,24) e più anziani (differenza media di 3,2 anni) e avevano una clearance della creatinina ridotta (-9,9 ml/min).

È stata documentata inoltre una minima ma significativa riduzione della mortalità per tutte le cause nei pazienti trattati con anticoagulanti orali diretti rispetto ai pazienti in terapia con il warfarin (differenza -0,42%/anno), riduzione associata principalmente a una diminuzione delle emorragie fatali.

L’introduzione dei nuovi anticoagulanti orali potrebbe conferire alcuni benefici in termini di riduzione dei sanguinamenti fatali rispetto agli antagonisti della vitamina K. Tuttavia, considerata la bassa incidenza di decessi associati a fenomeni emorragici nei pazienti fibrillanti in terapia anticoagulante, andrebbe migliorata la gestione delle comorbidità e dei fattori di rischio associati per ridurre l’incidenza di mortalità nei pazienti con fibrillazione atriale.

L’editoriale di commento al trial sottolinea che non andrebbe ignorato l’effetto di un sanguinamento non fatale sulla mortalità a posteriori. Anche se il paziente recupera, frequentemente si innesca una sequenza di eventi che possono compromettere gli outcome. Per tale motivo, andrebbe posta particolare attenzione a proteggere il paziente, riducendo al minimo il rischio di emorragie con l’utilizzo di anticoagulanti più sicuri su questo fronte, alla dose appropriata, e limitando la combinazione con la terapia antitrombotica.

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Antonella Potenza
Antonella Potenza
Dirigente Medico I livello. Cardiologia Interventistica IRCCS-ASMN Reggio Emilia

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