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Auguste Comte (1798-1857)

Auguste Comte era nato a Montpellier, una città del Sud della Francia sede di un’antica e prestigiosa facoltà di medicina, da una famiglia modesta e conservatrice. Studente brillante e allievo della celebre École Polytechnique di Parigi, da cui fu espulso per aver partecipato ad una sommossa, studiò matema­tica e si interessò alle problematiche sociali sulla spinta dei moti rivoluzionari del 1821 che attraversarono l’Europa. Dopo i primi anni di studio, che ebbero per oggetto le dinamiche socia­li, l’equilibrio mentale di Comte iniziò a vacillare, tanto da costringerlo ad un ricovero dal 1828 al 1830.

La vita di Comte fu segnata da momenti ripetuti di perdita di controllo psichico, che lo portarono ad essere emarginato dal mondo accademico ufficiale. L’insegnamento universitario fu infatti l’aspirazione più forte del filosofo, un mondo a cui desiderò partecipare e di cui non riuscì mai a far parte. Animato da una fiducia illimita­ta nella validità del sapere derivato dalla scienza, Comte elabo­rò un sistema filosofico che è conosciuto come Positivismo. Un termine che dichiara la natura positiva della conoscenza che si può ottenere attraverso l’indagine scientifica, contrapposta alla nebulosità e alla mancanza di attendibilità della speculazione metafisica.

Ambiente favorevole allo sviluppo del positivismo fu la situazione culturale che si formò nei primi decenni del XIX secolo. Furono anni in cui si raggiunse un’evoluzione importan­te nella conoscenza delle scienze naturali, vennero introdotte nuove ed utili applicazioni tecniche, come la ferrovia e l’entrata in servizio dei battelli a vapore. Le moderne tecnologie influen­zarono la società e l’economia, attraverso l’importanza assunta dal lavoro salariato di massa, che risultò il fattore costitutivo della rivoluzione industriale. Auguste Comte partì dal princi­pio, formulato dal socialista utopico Charles Fourier (1772-1837), secondo il quale le cause primordiali degli avvenimenti naturali non erano note, ma sottostavano comunque a delle leggi semplici e costanti, che si potevano scoprire per mezzo dell’osservazione scientifica. Da questa premessa fiduciosa nelle possibilità di conoscenza dell’uomo, Comte svolse il proprio percorso di ricerca, giungendo alla definizione della filosofia come scienza dei fatti concreti in contrapposizione ad ogni spe­culazione metafisica.

Tra il 1830 ed il 1842, subendo mille difficoltà psicologiche ed economiche, Comte scrisse e pubblicò i sei volumi del suo Corso di filosofia positiva. Il libro venne apprezzato più all’estero che in patria e soprattutto in Inghilterra, da pensatori autorevo­li come John Stuart Mill (1806-­1873), che organizzò una sot­toscrizione pubblica per aiutare economicamente il collega francese, la cui vita si trascinava nella modestia e nella mancan­za di mezzi di sussistenza. Il positivismo era un dottrina filoso­fica che fondava il processo conoscitivo umano sulla sola inda­gine dei fatti. La certezza relativa all’oggetto dell’indagine deri­vava esclusivamente dall’osservazione condotta attraverso le regole della scienza sperimentale, con l’affermazione di due principi fondanti: l’esclusione di ogni certezza per fede e l’ammissione che la conoscenza della cosa in sé fosse irraggiun­gibile da parte dello studioso.

Positivo era quindi il reale, il mondo percepibile, in opposi­zione a ogni speculazione filosofica sulla natura dello stesso. Unica certezza era quella basata sul fondamento sicuro del fatto. Tale concezione fu gravida di conseguenze. Emanuele Severino in proposito ha parlato giustamente di rottura dell’epi­steme. Rinunciando a cercare di capire il perché di un determi­nato fenomeno naturale ed occupandosi invece solo della com­prensione del come un determinato evento si verificasse in natu­ra, lo scienziato evitava di porsi domande di tipo trascendente. Diventava inutile caricare di significati etici e finalistici il pro­prio lavoro. Si teorizzò una scienza separata da ogni percorso conoscitivo che trascendesse la materia, producendo conse­guenze prive di connotazione morale. Tutto diventava lecito, perché era possibile e tutto diventava sperimentabile, dal momento che era sufficiente indagare il come, senza alcuna necessità di investigare il perché. Da questa discrepanza di fondo, da questa separazione tra i presupposti di partenza e gli esiti del ragionamento filosofico, nasceranno delle conseguenze negative di scoperte scientifiche per altro verso importanti. Nel suo entusiasmo per un progresso scientifico apparentemente inarrestabile, Comte elaborò un complesso sistema storico­cosmologico destinato a spiegare in modo rassicurante ed esau­stivo ogni aspetto della realtà. Secondo il filosofo francese, la storia dell’umanità, al pari della psiche dei singoli esseri umani, aveva attraversato tre stadi di sviluppo. Un percorso che aveva seguito delle tappe ben definite, che si cercò di individuare in diversi e precisi momenti storici della storia umana:

  • lo stadio teologico, in cui l’uomo aveva immaginato i feno­meni naturali come un prodotto di agenti soprannaturali e divi­ni. La spiegazione di ogni evento terreno era basata sull’inter­vento di una divinità. L’umanità tutta era stata soggetta a que­sta regola nell’Antichità e fino all’Età Medievale;
  • lo stadio metafisico o astratto, in cui si era tentato di spiega­re il mondo come l’effetto di forze astratte, che regolavano l’attività della natura in base a dei principi trascendenti. Lo stu­dioso della natura ricercava la presenza di idee di carattere uni­ficante sulle forze naturali. Questa era stata la visione di fondo dell’indagine scientifica fino all’Illuminismo;
  • lo stadio positivo, in cui l’uomo aveva appreso l’impossibilità di comprendere l’assoluto. Si era limitato alla conoscenza delle leggi fisiche che regolavano i fenomeni, senza cercare di spiegarne un fine esistenziale o episteme. Il tentativo di raggiungere una verità assoluta delle cose era stato abbando­nato e si era pervenuti alla consapevolezza della non esistenza di una verità unica in quanto tale. Se un fenomeno fisico veni­va osservato ripetutamente ed era riproducibile diventava vero e degno di attenzione, perché rivestiva una propria attendibilità. Altro non doveva interessare al ricercatore e allo studioso della natura. Se ne concludeva come la verità in astratto fosse solo un’utopia irraggiungibile, una perdita di tempo, della cui mil­lantata esistenza si era servito il potere religioso per tenere sog­giogate le coscienze.

Anche la maturazione della personalità umana e dell’intel­ligenza avevano attraversato questi tre stadi. Il primo era stato un punto di inizio per un essere umano che si affacciasse alla vita ed aveva bisogno di certezze trascendenti, di un Dio in cui credere. Il secondo stadio aveva costituito una tappa di transi­zione verso il terzo, il punto di arrivo di un uomo consapevole e maturo, il quale si misurava con la realtà e ne carpiva i segre­ti, senza perdere tempo in vane speculazioni metafisiche. Ogni uomo era stato pertanto un teologo nella propria infanzia, un metafisico nella giovinezza ed infine un fisico nella maturità. Un percorso che si era verificato nella storia umana e nella vicenda personale dell’individuo.

Comte venne riconosciuto come il fondatore degli studi sociologici. Considerava la sociologia come l’ultimo risultato dello sviluppo delle scienze, che egli suddivise in matematica, astronomia, fisica, chimica, biologia e sociologia. Lo studio della sociologia avrebbe portato l’umanità ad uno stato di benessere e di ordine, grazie alla comprensione e alla capacità di controllo del comportamento umano. In modo ossessivo, a causa del proprio relativo squilibrio mentale, Comte ipotizzò una forma di culto religioso basato sulla scienza, che offrisse una diversa e più autentica forma di verità rispetto alla religio­ne tradizionale.

La concezione di una scienza autorevole come bene supre­mo e consolatorio, autoreferenziale, privo di ogni contraddito­rio o guida etica, è alla base di molti guasti e di una visione del progresso come fatto positivo, capace di risolvere ogni proble­ma dell’umanità. Un progresso astratto nelle intenzioni e nella formulazione, ma terribilmente concreto nelle conseguenze pratiche. Un percorso storico che attendeva l’uomo per diriger­lo verso un avvenire sempre e comunque migliore del passato.

La rottura della visione epistemica della conoscenza avrebbe avuto invece delle conseguenze importanti e avrebbe trascinato con sé riflessi e problematiche drammatiche.

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