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Archibald Leman Cochrane (1909-1988)

Clinico ed epidemiologo, Cochrane era nato da una fami­glia benestante di piccoli industriali tessili. Studiò scienze natu­rali presso l’università di Cambridge, per laurearsi in medicina solo più tardi, nel 1938. La sua vita era stata nel frattempo avventurosa. Coltivò un iniziale interesse per la psicoanalisi, vissuto durante un lungo soggiorno sul continente europeo tra il 1931 e il 1934, in cui entrò in analisi e fu allievo di Theodor Reik (1888-­1969), uno dei primi psicoanalisti e discepolo diretto di Sigmund Freud. Nel 1936 abbandonò temporanea­mente gli studi per partecipare come volontario alla Guerra Civile Spagnola, combattendo nelle Brigate Internazionali contro i Franchisti e i Nazifascisti. Al suo rientro in Inghilterra proseguì gli studi in medicina fino alla laurea. Partecipò alla Seconda Guerra Mondiale come ufficiale medico, ma fu fatto prigioniero dai tedeschi a Creta nel 1941, internato prima a Salonicco e poi in Germania. Fu liberato solo nel 1945, alla fine della guerra.

Durante la prigionia, nonostante i disagi e le privazioni, aveva curato con perizia molti prigionieri, spesso ammalati di tubercolosi, osservando come la malattia si giovasse più di un buon apporto calorico che di farmaci di incerta se non alcuna efficacia. Dopo la guerra Cochrane si dedicò allo studio delle pneumoconiosi nei minatori del Galles, allestendo un primo ed importante screening radiologico di massa per questi lavo­ratori, che lo portò a collaborare alla stesura di una classifica­zione delle pneumoconiosi ancor oggi in parte utilizzata. Fu l’epidemiologia applicata alla ricerca sul campo a costituire l’argomento principale dei suoi studi. Nel 1946 aveva conse­guito il diploma di sanità pubblica presso la London School of Hygiene & Tropical Medicine. Lavorò come docente di malat­tie polmonari presso il Wales College of Medicine di Cardiff e diresse l’unità di epidemiologia della stessa città. Il gruppo di lavoro da lui diretto raggiunse notorietà internazionale grazie alle indagini sulla storia naturale e sull’eziologia di molte malattie largamente diffuse, come l’anemia, il glaucoma e l’asma bronchiale. Dimostrò con pazienza e tenacia, unita a un garbo e ad una signorilità di carattere particolari, che si potevano effettuare misure attendibili su popolazioni geogra­ficamente definite con lo stesso livello di accuratezza delle misure condotte in laboratorio in condizioni sperimentali. Questa conquista lo aiutò a fare dell’epidemiologia una scien­za rispettata. La parte di questo lavoro che ebbe maggiori ripercussioni anche fuori dal Regno Unito fu quella che lo portò a sostenere apertamente l’importanza degli studi clinici randomizzati, una modalità di lavoro che poteva rendere più difficili gli errori di valutazione presenti nella sperimentazio­ne dei farmaci. Si trattava di studi in cui i soggetti che entra­vano nella sperimentazione venivano inclusi in modo casuale, vale a dire «random».

Nel 1971­-72 Cochrane pubblicò il suo libro più famoso, dal titolo di Effectiveness and Efficiency: Random Reflections on Health Service (Efficacia ed Efficienza: riflessione sui Sistemi sanitari), che lo consacrò come un vero e proprio padre fonda­tore della medicina di comunità. L’idea di fondo che pervade­va la visione della medicina di Archibald Cochrane era che i sistemi sanitari pubblici dei paesi occidentali, disponendo di risorse limitate, dovessero dare la preferenza ai farmaci e alle procedure di provata efficacia terapeutica, al fine di evitare il più possibile gli sprechi. Dagli intenti di Cochrane e dal suo desiderio di poter valutare con precisione ed accuratezza i reali effetti di una terapia, indipendentemente da pregiudizi o manipolazioni commerciali, nacque la metodica che oggi prende il nome di Medicina Basata sull’Evidenza, nota più spesso con la sua notazione anglosassone di Evidence Based Medicine o E.B.M. Nacque in seguito la Cochrane Collaboration, un insieme di gruppi di lavoro internazionali collegati tra di loro, che si posero l’obiettivo di raccogliere e valutare criticamente le informazioni relative all’efficacia degli interventi sanitari. La parola evidence può essere intesa in inglese sia come evidenza, che come prova o dimostrazione. Occorre precisare il significato linguistico del vocabolo, altri­menti esisterebbe il pericolo di confondere il risultato con la metodologia adoperata per ottenerlo. Nell’E.B.M. si fa un costante riferimento all’analisi di trial clinici randomizzati ed alle meta­-analisi basati sugli stessi, piuttosto che all’interpre­tazione di lavori ottenuti da osservazioni personali. L’E.B.M. permetterebbe al medico di poter effettuare una serie di valu­tazioni utili a prendere delle decisioni cliniche. Un medico messo in grado di conoscere la rilevanza delle prove sperimen­tali a supporto di un determinato argomento e applicarne i risultati alla propria attività. L’operato dei sanitari sarebbe stato giudicato utilizzando come metro di paragone l’aderenza a protocolli e linee guida ben codificati. L’E.B.M. risultava una modalità di studio di tipo statistico, che cercava di suggerire delle strategie per migliorare l’aggiornamento e il comporta­mento dei sanitari. Il lavoro clinico sarebbe migliorato attra­verso l’applicazione dei risultati più sicuri riportati nella lette­ratura scientifica. L’esito finale sarebbe consistito nel passag­gio da una pratica clinica fondata sulle opinioni di un singolo medico, che sceglieva in base agli studi ed all’esperienza pro­fessionale, in una medicina obiettiva basata sulla forza delle prove di efficacia di molte sperimentazioni, condotte su cam­pioni numerosi di individui scelti in modo randomizzato. Dobbiamo ricordare come nell’attività clinica le decisioni ven­gano di solito prese attraverso un percorso irregolare. Si viene influenzati da molti fattori, oltre che dall’esperienza. In questo processo rivestono un ruolo il terreno culturale, l’influenza di mode e di comportamenti sociali, l’acquiescenza alle opinioni degli esperti nella materia e infine, come fattore non seconda­rio, la necessità di ottimizzare l’uso delle risorse economiche disponibili. Quest’ultima tematica è sentita come prioritaria dalla medicina occidentale, costretta com’è dai suoi Welfare State a quasi obbligatorie scelte politiche, economiche e socia­li. Naturalmente la decisione clinica finale è, o dovrebbe esse­re, il frutto della mediazione di tutte queste componenti. Molte influenze sono alla base della decisione di preferire la lettura di una pubblicazione scientifica piuttosto che un’altra.

Nonostante la consapevolezza che peso e autorità delle fonti possano essere pesantemente influenzati dagli interessi com­merciali in gioco e che la visibilità di una rivista sia una moda­lità di porsi al lettore che possa variare in base a fattori econo­mici e referenziali complessi, la maggior parte degli articoli medici pubblicati sono archiviati in grandi data base. Archivi informatici che contengono migliaia di riviste mediche edite nei paesi più evoluti e facilmente disponibili sul web. Sulla scorta di questa imponente massa di dati è stata formulata una specie di gerarchia delle evidenze, elaborata in base al numero e all’importanza degli studi condotti su di un determinato argomento. Si parte dai lavori considerati i più autorevoli, ela­borati su campioni di migliaia di persone, per giungere al sin­golo caso clinico, il cui insegnamento viene considerato meno generalizzabile e per questo di importanza relativa. In questa modalità di ricerca e di valutazione dei dati ci si muove su di un piano quantitativo e realistico, che tiene conto per prima cosa dell’attendibilità e misurabilità statistica dei risultati rag­giunti. Non viene di solito considerata la complessità e l’impossibilità epistemologica di giungere a verità scientifiche incontrovertibili. Secondo i criteri propri dell’E.B.M. possia­mo ottenere dall’esame della letteratura scientifica diversi livelli di evidenza e gradi di raccomandazione relativi ai com­portamenti clinici, cui il medico dovrebbe uniformarsi se non vuole incorrere in critiche o sanzioni da parte delle ammini­strazioni che sovraintendono alla propria attività. Come esito finale dell’applicazione dell’E.B.M. alla medicina avremo una modalità di comportamento di tipo algoritmico, dettata dal­l’adesione a linee guida elaborate sulla scorta delle maggiori evidenze disponibili per ogni argomento clinico.

Il limite del pensiero di Archibald Cochrane appare risiede­re nella eccessiva fiducia posta nella metodologia dell’indagine induttiva. A suo tempo Stuart Mill aveva già provato a sostene­re qualcosa del genere, uscendone alquanto ridimensionato nel portato ideologico delle tesi sostenute. Evitare la tautologia nei ragionamenti è una procedura faticosa e difficile, in cui la medi­cina è arrivata buon ultima, seguita a ruota dalle proprie, di evi­denze.

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