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Andexanet alfa, l’antidoto per gli inibitori del Fattore Xa

A cura di Seena Padayattil

Andexanet Alfa for Acute Major Bleeding Associated with Factor Xa Inhibitors. Stuart J. Connolly, Truman J. Milling, Jr., John W. Eikelboom for the ANNEXA-4 Investigators: N Engl J Med 2016;375:1131-41.

Gli anticoagulanti orali non Vit K dipendenti sono sempre più utilizzati e gli antidoti a questi farmaci sono un valido aiuto per il clinico nella gestione delle emorragie maggiori, soprattutto in caso di coinvolgimento degli organi critici. L’antidoto per il dabigatran, l’idarucizumab, un anticorpo monoclonale con elevata affinità per il farmaco, è già disponibile e ne abbiamo già parlato nel nostro sito. Per gli inibitori del Fattore Xa, l’antidoto è l’Andaxanet Alfa, una proteina ricombinante simile al FXa umano senza l’attività catalitica, pertanto può legarsi a tutti gli inibitori di FXa sia orali (apixaban, edoxaban e rivaroxaban) che parenterali (enoxaparina).

È in corso lo studio di fase III per l’andexanet alfa: The Andexanet Alfa, a Novel Antidote to the Anticoagulation Effects of FXA Inhibitors (ANNEXA-4) study. Si tratta di uno studio multicentrico, prospettico, con un disegno in aperto, su pazienti in terapia con uno degli inibitori di FXa, che si presentano con emorragie maggiori o pericolose per la vita. In una recente edizione del NEJM gli investigatori riportano l’analisi interim su 67 pazienti arruolati fino a giugno 2016.

L’andexanet veniva somministrato mediante un bolo in un periodo di 15-30 minuti, seguito da un’infusione di 2 ore. La dose dell’antidoto somministrato era come segue: per i pazienti che avevano assunto apixaban e rivaroxaban più di 7 ore prima veniva somministrato un bolo di 400 mg e un’infusione di 480 mg; per i pazienti in terapia con enoxaparina, edoxaban, e per i pazienti che avevano assunto apixaban o rivaroxaban nelle 7 ore precedenti veniva somministrato un bolo di 800 mg e un’infusione di 960 mg.

Tutti i 67 pazienti sono stati considerati per le valutazioni sulla sicurezza, mentre solo i pazienti con una concentrazione di anti-FXa > 75 ng/ml sono stati considerati per la valutazione di efficacia. Gli outcome primari sono la variazione della percentuale dell’attività anti-FXa e il raggiungimento di emostasi clinica ottimale o buona.

L’età media dei pazienti arruolati era di 77 anni e tutti avevano nell’anamnesi eventi cardiovascolari o trombotici. Dei 67 pazienti arruolati, 32 erano in terapia con rivaroxaban, 31 con l’apixaban e 4 con l’enoxaparina. La maggior parte dei pazienti si presentava per emorragia gastrointestinale (33 pazienti, 49%) e per emorragie intracraniche (28 pazienti, 42%). 20 pazienti non sono stati considerati per le analisi sull’efficacia in quanto avevano un’attività anti-FXa basale < 75 ng/ml. I 26 pazienti in terapia con il rivaroxaban avevano un’attività anti-FXa mediana di 277 ng/ml al basale, 16,8 ng/ml dopo il bolo, 30,6 ng/ml dopo l’infusione e 177,7 ng/ml a 4 ore dall’infusione. Nei 20 pazienti in terapia con l’apixaban l’attività anti-FXa mediana era 149,7 ng/ml al basale, 10,3 ng/ml dopo il bolo, 12,5 ng/ml dopo l’infusione e 103,0 ng/ml a 4 ore dall’infusione. L’attività anti-FXa è rimasta stabile a 8 ore e a 12 ore dall’infusione. L’emostasi è stata giudicata eccellente in 31 pazienti e buona in 6 (in totale 79% dei pazienti), dopo 12 ore. Un grado di emostasi buono o eccellente è stato raggiunto nell’84% dei pazienti con emorragie gastrointestinali e nell’80% di quelli con emorragie intracraniche. In nessun paziente sono state osservate reazioni all’infusione e non si è riscontrato sviluppo di anticorpi per il FX o per il FXa o per l’andexanet.

Questo è uno studio in corso d’opera, si concluderà quando verranno arruolati circa 230 pazienti, in modo da poter eseguire l’analisi di efficacia su 162 pazienti. A conclusione dell’arruolamento che conferirà l’adeguato potere statistico allo studio, si potranno fare ulteriori analisi anche riguardo al grado di riduzione dell’attività anti-FXa, l’emostasi clinica e l’outcome.

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Seena Padayattil
Seena Padayattil
Ricercatrice presso il Dipartimento di Cardiologia dell'Università di Padova.

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