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andare via di qui

Il post più bello e importante e terribile della settimana lo ha scritto Giovanni, senza dubbio, anche se la settimana è soltanto iniziata. Ma siccome è davvero il più bello e importante e terribile di tutti, lo lascio per ultimo, e vi segnalo invece alcune altre cose che non sono così importanti e terribili, ma che valgono comunque la pena di un’occhiata (e anche qualcosa di più, se credete).

Per esempio è stato pubblicato qui l’ultimo articolo di Tommaso Labranca, che è morto il 29 agosto di quest’anno. Io penso che di Labranca e del suo valore di scrittore e intellettuale parlerò un’altra volta, quando riuscirò a farlo (sono venti giorni, infatti, che rimando… e forse rimanderò per sempre, come faccio con tutte le cose a cui mi pare di dover dare particolare rilievo, è possibile). Però quest’ultimo suo articolo è una suggestiva elegia di settembre che si può anche leggere senza nemmeno sapere chi sia stato Labranca; e inizia così:

In questo preciso istante, mentre scrivo e mentre leggete, una ragazza o un ragazzo sta legando un’immagine, una sensazione, una madeleine dell’estate 2016 alla voce effettata di Fabio Rovazzi, l’autore della canzone “Andiamo a comandare”. Non ho capito bene su cosa voglia comandare questo giovane, starà organizzando una nuova Marcia su Roma? Si ispira alle revanchas andine degli Inti Illimani ai tempi di Venceremos? È un remix concettuale di “We Shall Overcome”, cantilenata dagli afroamericani negli anni Sessanta?   No. Deve trattarsi di minime beghe all’interno di piccoli mondi periferici in cui si mescolano a caso rap, graffiti, stazioni della metropolitana, gruppetti con felpe incappucciate e tizi coi baffetti che si minacciano l’un l’altro a colpi di «andiamo a comandare».

Poi c’è un libro che mi è venuto in mente grazie al web. Lo lessi tantissimi anni fa, non ero nemmeno un ragazzo, perché forse a quattordici anni non si è nemmeno tali (viene il dubbio…). E forse, a pensarci ora, quel libro (che mi piacque molto, e lo regalai al mio vicino di casa di allora, quattordici anni anche lui, chissà che fine ha fatto) mi suggestionò e influenzò più di quello che credetti e che ho creduto in questi anni. Se ne parla brevemente in questo articolo; forse vi verrà voglia di leggerlo, non so:

Lungo racconto / romanzo sull’invasione di un paese scandinavo da parte dei tedeschi durante la seconda Guerra Mondiale. Da leggere e da far leggere a chi ha la risposta pronta a tutto, a chi sa sempre cosa fare (solo perchè è un altro a comandarglielo), a chi crede che i problemi si risolvano sempre nello stesso modo e che sia il problema a dover cambiare e non la soluzione, qualora questa non funzioni.

Infine ci sono poche, pochissime righe sull’assenza e sull’amore, scritte da Mauro Zucconi. Sono talmente poche che non posso anticiparvi niente, rovinerei tutto. Andatele a leggere direttamente e secondo me non ve ne pentirete.

Ma alla fine viene il post di Giovanni, il più bello e importante e terribile di tutti, di tutta la settimana, forse di tutto il mese di settembre. Parla di migranti e di guerra, di curdi e di Siria, dell’essere profughi e del non essere niente. Vi consiglio, senza incertezze, di dedicargli tutto il tempo che chiede e che si merita; perché ci sono racconti che meglio di ogni altra spiegazione ci dicono cosa sta succedendo intorno a noi, chi siamo e perché siamo così. E cosa rischiamo di diventare, anche. Il racconto inizia così:

Da aprile faccio il volontario nel campo profughi di Katsika, in Grecia, dove tengo un diario. A Katsika vivono siriani, iracheni, afgani, curdi e diverse altre comunità. Sono rimasti bloccati dalla chiusura delle frontiere e ora vivono in tende allestite dall’esercito greco in attesa di una lentissima procedura di registrazione. A Katsika vive anche Mohammed, assieme ai suoi cugini Ahmed e Farhad, e altri quattro compagni di tenda. Raccontare la loro storia può essere utile a capire l’impatto che le nostre politiche migratorie hanno sugli esseri umani, quelli che subiscono le scelte dei nostri governi, e siamo semplicemente abituati a non vedere. Ma esistono.

Mohammed ha appena compiuto 18 anni, per il governo siriano ne ha ancora 17. È nato a Qāmishlī, nel nord della Siria, in una zona a forte prevalenza curda. Da grande vuole fare il fisico. La chat di What’s App fra lui e il cugino Ahmed è una lunga lista di parole inglesi. Ogni volta che dico una parola inglese che non conosce tira fuori il cellulare e la invia a Ahmed: «non ti preoccupare, sarà contento anche lui di impararla». Il suo sogno è andare a finire gli studî in Finlandia perché – chissà dove ha trovato questa informazione – è lì che c’è il miglior sistema educativo per chi studia fisica. In realtà quello di andare in Finlandia era il suo sogno, ora gli basta «andare via di qui».

Davide Profumo
Davide Profumo
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