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anch’io

Anch’io ho in questi giorni pensato che molte delle cose che ascoltavo e che leggevo non le avrei né capite né accettate, anche solo poche settimane fa. Anch’io ho pensato che l’espressione «puoi fare una passeggiata nelle immediate vicinanze di casa tua» è un’espressione a cui non avrei dato senso, fino a pochi giorni fa, è una frase ridicola, non ci voglio nemmeno pensare. Anch’io mi sono sorpreso a pensarlo, come Adriano Sofri, che lo ha scritto qui perfettamente, segnando il fatto che chi abita al mare può, se vuole, fare un bagno, pensa un po’, pensa cosa ci è successo, pensa come ne verremo fuori diversi, pensa a quali parole abbiamo accettato di dare oggi un singnificato, pensa come è facile credere a tutto:

L’altro giorno. Un titolo, dice: “Palazzo Chigi chiarisce: ‘Chi abita al mare o vicino a un lago può anche fare un bagno’”. Mi alzo tardi, intontito, per un momento sto ancora in un giorno ordinario, un giorno di prima del virus – di prima. L’effetto straniante del titolo fa ridere e sussultare. Per un momento, l’enormità del nuovo mondo è riapparsa, come succederebbe a uno che fosse entrato in coma il 27 gennaio e ne fosse uscito il 25 aprile, o agli astronauti rientrati da un lungo viaggio.

E anch’io, naturalmente, ho guardato il ritorno delle rondini, la primavera che prima s’annunciava e poi esplodeva indifferente alla solitudine, il fiorire dei rami, gli alberi, il sole ogni giorno più caldo, il vento di sudest, anch’io ho pensato che tutto rinasce senza sosta, come ha scritto Philip Larkin, come se fosse vita mentre forse è il suo contrario, il perpetuo morire delle cose destinate a orrendamente rinascere, Aprile è infatti il mese più crudele, ma la poesia di Larkin è questa (la trovate qui, insieme ad altre), la poesia dice ovviamente molto più di così:

Gli alberi stanno mettendo le foglie
come una storia detta e stradetta.
I nuovi germogli distesi e aperti
e il verde panorama che addolora.
 
E’ forse perché quelli nascono ancora
e noi invecchiamo? No, muoiono anche loro.
L’inganno di ogni anno – sembrare nuovi –
è marcato dagli anelli del tronco.
 
Ancora il castello della chioma s’agita
nel pieno dell’esuberanza di ogni Maggio.
L’anno passato è morto, sembrano dire
e noi ancora da capo e da capo e da capo.

Ma anch’io mi sono sentito intrappolato, rinchiuso dentro un esperimento sociale, come spiega bene Annamaria Testa, con la precisa sensazione che tutto questo debba non finire più, che tutto sia per sempre mutato, che niente possa tornare a essere quello che era prima e soprattutto che io stesso non potrò mai più essere quello che ero fino a poche settimane fa, senza saperlo, senza coscienza, passeggiando impunemente sotto le palme. E ho letto questo (che trovate qui):

La rapidità e la pervasività della pandemia hanno obbligato ciascuno a confrontarsi con la propria fragilità individuale. Disvelano e, con ciò, mettono in crisi, come sottolinea la psicoanalista Julia Kristeva, le caratteristiche dell’uomo globalizzato: solitudine, intolleranza ai limiti e rimozione della mortalità. Possiamo diventare più prudenti, forse più teneri, e in questo modo anche più durevoli, resistenti. La vita è sopravvivenza permanente, dice Kristeva. […] E ancora: quante persone, in quanti paesi compreso il nostro, hanno sempre considerato il sistema scolastico come una struttura ancillare e molto meno centrale del sistema produttivo? Ed ecco: si fermano le scuole e tutto il resto si inceppa. Ma non solo: improvvisamente ci si rende conto che senza il malconcio e tuttavia resiliente e tenace sostegno della scuola un’intera generazione rischia di ritrovarsi abbandonata a sé stessa nel mezzo dello tsunami pandemico.

E infine anch’io, quante volte anche io, ho pensato che la colpa di tutto era di Paride, quello bello. Che senza di lui non ci sarebbe stata la guerra, Ifigenia non sarebbe stata sacrificata, Ettore non sarebbe morto, Penelope non sarebbe mai più rimasta sola, Troia sarebbe ancora in piedi ed Enea sarebbe ancora al fianco di Creusa, non sarebbe stato costretto a fuggire dalla sua città in fiamme, Didone non si sarebbe suicidata, la guerra non esisterebbe nemmeno, nessuna guerra, nessuna pandemia, tutta colpa di Paride che ha scelto la bellezza e l’amore… E ho letto un post brevissimo oggi (lo trovate qui) e dopo tanti anni di letteratura ho dovuto capire che mi ero sempre sbagliato. E per fortuna che c’è Paride, invece, che sceglie l’unica cosa che davvero abbiamo:

Quel giorno la professoressa d’italiano era assente per un’indisposizione.
Venne quindi a sostituirla il giovane preside (non ancora quarantenne, se ben ricordo).
L’argomento della lezione, dedicata ad un canto dell’Iliade, fu Paride.
Il preside ci invitò a dire quello che pensavamo di lui e delle sue scelte.
Tutti, nessuno escluso, pensavamo a Paride come ad uno sconsiderato: per la bramosia di possedere Elena aveva scatenato un conflitto di proporzioni incredibili e causato la fine della sua città.
“Cosa avrebbe dovuto fare, quindi, Paride, per riscuotere la vostra approvazione?”


Davide Profumo
Davide Profumo
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