Vorrei tanto che anche voi aveste il tempo, e spero ancora di più che non ve ne spaventi la mole e il lessico e l’erudizione, per leggere il lungo articolo che oggi ho trovato in rete, scritto da Pier Vincenzo Mengaldo (uno dei nostri più grandi critici letterari viventi) a proposito delle linee dantesca e petrarchesca che percorrono la nostra storia letteraria, e le danno forma e sostanza, e in qualche modo riconducono a sé, in un bipolarismo culturale tutto italiano, ogni altra scrittura che sia nata dopo di loro. Dante contro Petrarca, insomma; ma anche Dante insieme a Petrarca, forse ancora di più. Il primo chiamato per nome di battesimo, non a caso, il secondo chiamato per cognome, quasi a segnare una distanza.
E vorrei tanto che non vi spaventassero la mole e il tono dell’articolo, perché è davvero uno di quei testi che illustrano le forme della letteratura come pochi altri, con uno sforzo di sintesi di cui è davvero complicato essere capaci (è necessario essere Mengaldo, insomma; o pochi altri come lui). E quindi, in nome di questa speranza che ho, vi allego un passaggio iniziale di questo articolo, confidando che vi possa incoraggiare nella lettura. Scrive così, Pier Vincenzo Mengaldo:
Per entrare nella questione prenderò le mosse da quanto ha affermato drasticamente Gianfranco Contini e cioè che la letteratura italiana è del tutto incomprensibile senza Petrarca mentre si può comprendere benissimo senza Dante. Fino a qualche tempo fa questa tesi più o meno mi persuadeva ma oggi mi lascia perplesso; proverò dunque a contro-dedurre. La prima contro-deduzione è la seguente: la letteratura, e principalmente quella poetica, d’Italia, non è costituita soltanto da testi scritti in italiano ma anche, largamente, nei più vari dialetti della penisola assunti a dignità di lingua letteraria; qui, l’azione di Petrarca è del tutto marginale, mentre molto di più – e per tanti aspetti si può dire esclusivamente – incide Dante. […] Un secondo punto lo accennerò a partire dall’estremo del decorso storico, da due casi di straordinaria reviviscenza di Dante e precisamente delle sue invenzioni, non in poesia ma nella prosa di memoria o di romanzo del Novecento: uno è il Canto di Ulisse che rinasce in Se questo è un uomo di Primo Levi; l’altro è l’audace rifacimento – chiamiamolo così – dell’episodio di Pier della Vigna in pagine non meno memorabili di Menzogna e sortilegio della Morante; e si potrebbero aggiungere facilmente tanti passi di Meneghello o, per passare alla poesia, tutte le situazioni dantesche che riemergono in Montale a siglare il riferimento a situazioni tristemente caratteristiche del secolo passato […]Dagli accenni fatti già, potrebbe scaturire una conclusione del genere: Petrarca agisce a lungo e capillarmente sulla lingua; Dante anche, e prepotentemente, sull’immaginario.
Ma può darsi, e lo capirei benissimo, che non abbiate il tempo per il lungo articolo; o anche, succede pure a me, che vi spaventino davvero troppo tutti i riferimenti e tutti gli autori citati da Mengaldo nel suo articolo. E quindi, se così vi è successo, vi propongo un altro link, meno faticoso ma altrettanto interessante e sempre in tema Vi si parla di Petrarca con una mela e una banana; e colui che parla è Giulio Mozzi, che quando si parla di letteratura sa sempre raccontare con efficace chiarezza le sue idee. Lo trovate qui, è un breve video di poco più di 4 minuti. E non è escluso che vi faccia amare un po’ Petrarca e vi faccia tornare in cima a questo articolo, dove troverete di nuovo il coraggio di affrontare il lungo testo di Mengaldo. E farete bene.
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Grazie per la citazione.