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alla guerra dei lettori di libri

L’evento assume i tratti di una vera e propria azione sovversiva nei confronti dell’inerzia culturale nella quale sembra immerso il nostro paese, spiazzando gli spettatori attraverso l’effetto sorpresa, quasi a dimostrare, ancora una volta, che è la pigrizia il nemico da dover essere sconfitto.

 

E però, insomma, le parole per esempio. Già il tenere insieme senza vergogna (anzi, quasi esibendole) una parola da ispanofoni (guerrilla), un’altra da anglofoni (reading) e una terza così tipicamente da italofoni (evento: delle tre, quella che a me più dispiace) è sintomo di qualcosa che non so se mi attira. E poi, sarà pure un’«azione sovversiva», chi sono io per negarlo, però che tristezza i libri usati così, e l’idea che gli altri siano assorti nei loro cellulari perché pigri, o ignoranti, o comunque assopiti nel rumore di fondo di una contemporaneità culturalmente inerte…

 

Insomma, lo avete capito, non mi piace molto questa cosa per cui la gente che ama leggere va in tram a disturbare gli altri passeggeri, rapiti dagli smartphone, che stanno andando al lavoro per leggere dei libri che loro, i pendolari ignari, non hanno scelto [lo si fa anche a scuola, ogni tanto: ci sono alunni che viaggiano da una classe all’latra, entrano e –senza chiedere permesso – leggono agli altri studenti seduti al loro posto dei brani scelti chissà da chi, poi escono e ci lasciano lì, mentre le guerre puniche incombono, oppure con la proposizione finale in mano, di cui non sappiamo cosa farci, e con la sensazione che stiano succedendo cose meravigliose che non capiamo…]. E penso che abbia ragione Manuel Peurzzo, quando causticamente scrive così:

 

La performance è tutta da studiare. L’idea di volontariato, di letture scelte, di spazio pubblico comune da invadere in quanto spazio inteso come “tutti quelli giusti che hanno i nostri gusti”. Un living theatre luddista che se ti vede con l’iPhone in mano parte a recitarti la Mazzantini. L’emblema di feticizzazione della cultura che santifica libri, autori, scrittori e demonizza la tecnologia in nome della socializzazione. Perché lo sappiamo tutti che senza i telefoni ce ne staremmo seduti in tram o in metro a recitar poesie polacche o suonare l’arpa. Tu sei lì a organizzarti su Tinder e una sentinella in piedi di Crescenzago ti urla Guerra e Pace all’orecchio perché ha deciso per te che è meglio così.

 

O forse, ancora una volta, ci tocca chiudere nella casa virtuale dell’amico Roberto, che anche lui confessa di aver letto a voce alta, una volta, in un viaggio di quando non avevamo l’età che abbiamo oggi, e di essersene però in qualche modo pentito (sto esagerando, lo so), come ci si pente dei peccati di gioventù, delle intemperanze, delle presunzioni così tipiche di quell’età un po’ intollerante. E le sue parole, acute e precise, sono queste:

 

Da lettore compulsivo e pendolare senior e certificato – uso mezzi pubblici per recarmi a destinazione quotidiana dal 1986 – vi dico che il guerrilla reading riflette esattamente l’idea che chi non legge ha di chi legge. Gente boriosa che si sente superiore solo perché tiene un libro, possibilmente tradizionale e cartaceo, in mano. Che poi è proprio così, ne sono fermamente convinto e guai a chi sostiene il contrario. Solo che credo non sia questo il modo per far pesare in modo appropriato, a chi non legge, il fatto di essere degli ignoranti, gretti e zoticoni affetti da pigrizia mentale e schiavitù digitale. Ci sono biblioteche pubbliche che attirano con varie iniziative l’ampia fetta di popolazione che non è loro utente, e che probabilmente coincide con chi non legge, per poi infondere in loro il germe della lettura passando da altre vie e prendendola alla larga rispetto a sbattergli in faccia quel che meritano.

Davide Profumo
Davide Profumo
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