con il sale
10 Gennaio 2016Giovanni Alfonso Borrelli (1608-1679)
14 Gennaio 2016Cedo al desiderio di postare rapidamente alcune segnalazioni e alcuni piccoli spunti che mi fa piacere condividere con i tre o quattro lettori che eventualmente passino di qui. Lo faccio perché ieri sera ho cominciato a leggere un libro di una scrittrice francese, che si chiama Annie Ernaux, e mi è parso di averlo trovato molto bello. Continuerò a leggerlo domani, e se cambierò idea ve lo farò sapere. Però la scrittrice francese [a proposito: sempre più spesso mi capita che a piacermi siano libri scritti da donne; oppure libri scritti da francesi; e, congiunzione letteraria miracolosa, ci sono casi come questo in cui mi capita che siano donne francesi… il che, ne sono sicuro, deve proprio significare qualcosa] Annie Ernaux ha rilasciato un’intervista che mi piace segnalare, perché io credo che in parte mi spieghi un po’ delle ragioni per cui il suo libro mi sta, per ora, piacendo molto. Quando, per esempio, dice così:
C’è sempre un nesso tra la letteratura e la vita, azzardo anche tra la filosofia e la vita, alla maniera di Paul Valéry che sosteneva che ogni teoria filosofica fosse un frammento autobiografico. Ma nella letteratura ci sono più gradi di coinvolgimento del sé, lo dimostra la diversità tra L’Inferno di Dante e le Confessioni di Jean-Jacques Rousseau. L’autobiografia ha una specificità che le è propria, ossia la ricerca di una verità, e il soggetto di questa ricerca è la vita di chi scrive.
Un’altra segnalazione riguarda invece l’informazione che ci circonda, quella su cui formiamo le nostre opinioni sul mondo che ci circonda e quindi anche i contorni del nostro sguardo sulla gente che ci circonda. Ho letto infatti questo articolo postato su Giornalettismo e l’ho trovato molto istruttivo, pder mille e mille ragioni. Sono sicuro che si tratta di cose che sapete già, me nel dubbio lo segnalo lo stesso. Magari sorprenderà anche voi.
E infine un’icona pop. Mi è venuto in mente, appena ieri mattina, mentre facevo colazione prima di andare a scuola, ho saputo che era morto David Bowie che finalmente avrei saputo spiegare a chi me lo chiedeva (e al me stesso che ne cercava una definizione) cosa fosse un’icona pop. David Bowie (si pronuncia boui) lo era. Per cui ho pensato che fosse giusto dirvi al proposito solo un paio di cose. La prima è che il suo nuovo disco, ultimo disco, è bellissimo; non perché lui sia morto e quindi…, ma proprio perché lo è, a mio parere, proprio bellissimo (e già il penultimo non scherzava) La seconda è che ho trovato in rete due post su Bowie che mi sono molto piaciuti. Il primo post lo ha scritto Tiziano Bonini, e dice anche così:
Lui stesso [Bowie], in un’intervista ripescata da Daniele Martino su Doppiozero, affermava che “Io non sono una rockstar, io non sono nel rock’n’roll. Per me il rock’n’roll non è che un media, un canale di espressione”. Ha usato il corpo e la musica come un media di comunicazione. Bowie ha riprodotto la sua arte nell’epoca della riproducibilità di massa, riproducendo se stesso e le sue molte personalità sotto forma di disco, live radiofonico, spettacolo dal vivo, film, intervista televisiva, performance teatrale, videoclip. Bowie è stato un media di massa, nel senso che Walter Benjamin dà ai media di massa. Benjamin non parla di media, ma di apparatur, di apparati, cioè di tecnologie “che organizzano la percezione umana”, di medium attraverso i quali passa, filtra, si riflette la nostra esperienza del mondo. Bowie ci ha fornito un medium, un prisma attraverso il quale dare forma alla nostra percezione della realtà…
Il secondo post lo ha scritto il mio amico Roberto, con cui credo di aver ascoltato qualche disco di Bowie, quando eravamo entrambi ragazzi. E, aggiungo per chi leggesse il suo bel post (così crepuscolare…), che credo anche di ricordarmi chi era Aurora.
2 Comments
“a proposito: sempre più spesso mi capita che a piacermi siano libri scritti da donne” . Affermazione che condivido, interessante, provocante, meritevole di riflessioni. Qualche tempo fa , parlando con l’amica Camilla Baresani della “scrittura femminile”, lei, scrittrice e brava, mi ha stoppò, negandone, tra le righe, l’esistenza. Ma allora , la nostra progressiva predilezione per le donne scrittrici e solo frutto del caso ? Saltiamo a pié pari la problematica “gender”, ovvero non curiamoci del fatto se le ipotetiche peculiarità femminili siano frutto dell’educazione-condizionamento oppure connaturate al codice genetico, soprattutto perché il problema, come troppo spesso accade, è posto in termini di lapidaria logica aristotelica : femmina-maschio, connaturata-acquisita; meglio un più realistico approccio mediato da logica fuzzy, che meglio ci azzecca con le variabili di natura biologica. Poniamoci, infine, due domande : a) esiste uno stile femminile ? b) perché ci piace ? a) Si; b) Non saprei, anzi, no, lo so (!): perché lo stile femminile è ossimoricamente fatto di assenza di arroganza, ma anche di grazia, stupore, sensibilità, finezza percettiva, fantasia, originalità. Chiedo perdono alle falangi oltranziste del femminismo: a loro esclusivo beneficio non manco di sottolineare che ci sono donne che scrivono come gli uomini ( sigh !).
Gentile Umberto, non so quanto lei abbia ragione (ho insistito un po’ anche sul “francese” proprio per ladciare il dubbio della coincidenza…). Però, forse, c’è nello stile femminile una modalità nel sondare la nostra interiorità che non siamo abituati ad ascoltare, e quindi ci stupisce. Anche perché non è da molto, neppure in “occidente”, che le donne hanno la possiiblità di farcela provare…