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12 Gennaio 2017imbecilli come chi
16 Gennaio 2017Non ho visto l’ultimo film di Jim Jarmusch e non credo, in generale, di potermi definire un ammiratore del suo cinema (mi piacque molto, qualche anno fa, Ghost Dog; ricordo di aver molto riso con Daunbailò, quando Benigni non era ancora Benigni; ma ricordo bene anche di essermi addormentato davanti a Coffee & Cigarettes e non ricordo più nient’altro, segno che la mia memoria malamente vacilla o che nulla di quello che vidi fu in qualche modo memorabile). Ma resta il fatto che non ho visto il suo ultimo film, Paterson, e che quindi dovrò per forza andare a vederlo.
Perché la recensione di Francesco Longo, che ho letto oggi a proposito di questo film, dice alcune delle cose che da anni io mi ripeto (e ripeto anche ai poveretti cui è toccato in sorte di essere costretti ad ascoltarmi): e cioè che la retorica che sta intorno alle biografie dei poeti (e anche alle loro opere, troppo spesso) è soprattutto vuota e cattiva retorica, che serve a tenere lontani quegli stessi poeti dalle nostre vite, a farli percepire a noi come eccezioni e dunque, in fin dei conti, serve a non dar credito alle loro parole. Il che, per me, è un errore. Visto che, in tutta franchezza, io continuo a dare molto credito a tutte le parole dei poeti che ho letto e che ho amato, in tutti questi anni.
Per cui vedrò il film e spero che la recensione abbia ragione. Soprattutto, per esempio, quando racconta la storia di questo autista di autobus con queste splendide parole:
Secondo la moglie, Paterson è dotato di un talento poetico, ma lui non pare interessato alla gloria. Le sue giornate sono ripetitive come i semafori e gli incroci che attraversa eppure per lui i versi poetici sono l’accesso alla profondità di ciò che appare piatto. Paterson percepisce lo straordinario nella vita banale, non usa la poesia come strumento di fuga ma per afferrare la realtà… Per Jim Jarmusch il poeta è un uomo comune (le altre due persone che nel film compongono versi sono una bambina che aspetta la madre e un giapponese in giacca e cravatta). La poesia non è in contrasto con la vita, ne è semplicemente il tessuto, è la fibra intima delle giornate. Il poeta non ha un profilo psicologico da borderline, né si presenta come l’antagonista incompreso di una società di mediocri. Leopardi grida contro la vita grigia, lo studente dell’Attimo fuggente si suicida, Dino Campana viene rinchiuso in manicomio, Rimbaud viene preso a colpi di pistola da Verlaine. Paterson fa colazione tutte le mattine con i cereali, va al cinema e a cena fuori insieme a Laura. Per lui la poesia è un liquido da contrasto che fa risaltare le meraviglie della vita ordinaria. Paterson è anonimo e felice.
E con questi due ultimi aggettivi, in sostanza vi lascio. Anche se avrei una piccola aggiunta, una postilla, che c’entra poco con il film e molto con la poesia, secondo me. Ho letto con molto piacere il divertente articolo dedicato dal bibliopatologo Guido Vitiello alle possibili (e secondo lui inutili) coppie di libri e di vini. Forse ha ragione lui, forse l’ebbrezza è superflua quando si parla di romanzi o di saggi. Ma le poesie, però, le poesie…
Ecco, se mi proponeste un libro che tiene insieme poesie e calici di vino, Montale con un bicchiere di Fiano, per esempio, oppure i versi Sereni e un Nebbiolo della Valtellina, o ancora una poesia di Petrarca con un assaggio di Bordeaux, ecco, io non riuscirei, lo confesso, a dirvi di no. E, sotto sotto, sospetto che lo comprerei subito, se questo libro esistesse davvero, e mi comprerei immediatamente anche le bottiglie (così come sospetto che, in tale remotissimo caso, Paterson sarebbe un eccezionale rosso dell’Etna).