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abituarsi

Un social tra i più noti mi ricorda stamattina che, esattamente l’anno scorso, ho avuto l’idea di condividere questa frase scema con i miei contatti: «Scuole chiuse, genitori che si chiedono cosa fare dei figli, mia moglie che si chiede cosa fare di me…». La frase fu commentata trentasei volte, segno che coglieva un’inquietudine che non era solo mia (né solo di mia moglie). Tra tutti quei commenti, mi appunto oggi questo, scritto da una mia ex alunna di un paio di decenni fa (la vita fugge…): «Prof è riuscito a farmi sorridere in questi giorni tristi per noi, tristi perché non sappiamo veramente cosa, a chi, etc, etc …credere».

Avete capito: un anno fa abbiamo più o meno tutti cominciato a fare i conti con la nostra quotidianità che doveva mutare e trovare altre abitudini. Ci hanno aiutati i libri, gli amici, i social, gli incontri virtuali e reali. Mia moglie, per esempio, su cui incombeva l’incarico inatteso di dover sopportare la mia versione di lavoratore casalingo, ha usato la sua perfetta conoscenza del francese e ha letto tutta la Recherche di Proust in lingua originale: ci ha messo un anno, un paio di sere la settimana, mentre io leggevo altro, seduto vicino a lei.

Era un’abitudine che non avevamo mai avuto, quella di leggere insieme, sorridendoci ogni tanto. Forse anche per questo mi ha molto colpito, sempre stamattina, leggere questa breve e acuta rassegna a proposito del ruolo che le abitudini paiono avere nel fluviale romanzo proustiano, che trovate qui. L’ha scritta Annamaria De Palma e contiene molte citazioni da Proust tra cui una che ho trovato luminosa, questa:

Viviamo di solito, col nostro esser ridotto al minimo; la maggior parte delle nostre facoltà rimangono assopite, fidandosi dell’abitudine che sa cosa si deve fare e non ha bisogno di loro. Ma, in quel mattino di viaggio, l’interruzione della routine della mia vita, il cambiamento d’ora e di luogo avevano reso indispensabile la loro presenza. Sedentaria e tutt’altro che mattutina, la mia abitudine stava venendo meno, e tutte le mie facoltà erano accorse a supplirla, gareggiando in zelo tra loro, innalzandosi tutte, come onde, allo stesso inusitato livello, dalla più umile alla più nobile, dalla respirazione, dall’appetito, dalla circolazione sanguigna fino alla sensibilità e alla fantasia.

Ecco: la rottura delle abitudini come momento di conoscenza, di presa di coscienza, di rivelazione si sé stessi. Il momento in cui tutto cambia che aiuta a scoprire che cosa di noi resta invece intatto, inattaccabile, che cosa siamo al di là di delle nostre modalità predefinite, oltre gli usi e i costumi a cui affidiamo grandissima parte delle nostre vite quotidiane (non avendone altre, a dire il vero).

È (mi pare) una cosa analoga a quanto ha scritto in questi giorni Massimo Mantellini sul suo blog, a proposito della pandemia che dura da un anno e che ha cambiato le sue (e tutte le nostre abitudini). Mantellini ha parlato del suo ultimo viaggio a Parigi e poi ha scritto così:

Da quella sera non ho più preso un aereo. E non sono più salito su un treno, nemmeno un treno regionale. Li ho evitati accuratamente; inoltre, come tutti, non avevo dove andare. Anche l’auto l’ho usata poco, solo per brevi tratti. Sembrerà una cosa da niente ma non lo è. Mi è mancato viaggiare, per la prima volta in vita mia, per un periodo tanto lungo? Non so, forse. O forse no. Forse sono strano io, forse non viaggiavo così volentieri nemmeno prima ed è serviva la pandemia perché me ne rendessi conto.

E poi ha proseguito nel suo ragionamento, fino a parlare di «pandemia come rivelazione» (che è quello che mi ha ricordato Proust, in effetti) e a individuare nel concetto di «frugalità» il centro della sua esperienza della lunga quarantena che, pur con qualche pausa, ci ha cambiato la vita in questo ultimo anno.

Un bel post, questo di Mantellini. Vi invito a leggerlo (lo trovate qui) anche se magari, alla fine non sarete del tutto d’accordo con lui. Anche se, semplicemente, penserete che no, non è quello per voi il punto, perché voi avrete invece scoperto altre cose (ma nel post trovate anche questo, non è una riflessione semplice né banale), che odiate casa vostra, per esempio, che odiate Proust e i libri e i social (c’è qui una cosa importante, a questo proposito) e la didattica a distanza, che non vi interessa la frugalità, ma piuttosto l’intemperanza, l’incontinenza, lo spreco, lo scialo.

Non è importante, secondo me. È importante l’atto del fermarsi e del rifletterci: quello che è accaduto a Massimo Mantellini, grazie alla pandemia. Mentre a me, per esempio, è accaduto esattamente il contrario: il cambio delle abitudini mi ha stressato e mi ha impedito di fermarmi e di riflettere; ho cominciato a correre sul posto, senza tregua, non ho più capito dove ero e perché, mi sono sentito tante volte come la mia ex alunna che lasciò quel commento un anno fa, mi sento spesso ancora così, anche se da qualche giorno sono vaccinato, anche se sto andando a scuola al 50%, anche se tutto sommato mi sto abituando…

Appunto, mi sto abituando. Perché alla fine ci si abitua anche alla pandemia, alla frugalità, alla stasi e all’assenza: e tutto diventa vita quotidiana, l’unica che in effetti abbiamo e a cui, in un modo o nell’altro, siamo costretti ad affidarci, per provare (provare) ad essere, più o meno, felici (più o meno).

Davide Profumo
Davide Profumo
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