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a sproposito

Vorrei dire questa cosa, oggi, a proposito dell’utilità dello studiare letteratura (cioè del tutto a sproposito, in effetti), che è poi l’argomento a cui sono costretto a pensare sempre di più, lavorando nella scuola e insegnando tutti i giorni, e con un certo diletto, (appunto) letteratura. È una cosa veloce, per cui prendo a prestito le parole usate da Lorenzo Tomasin nel suo bel libro L’impronta digitale (sottotitolo: Cultura umanistica e tecnologia, non per caso), che ho letto qualche settimana fa ma che ancora tengo sulla scrivania, come faccio con tutti i libri che non ho voglia di dimenticare:

 

Un’idea diffusa circa le lettere è che esse siano inutili o poco utili. Questo non è un pregiudizio ma piuttosto l’appropriazione indebita e rozza di una categoria, quella dell’utilità, sulla quale è rischioso e incongruo, pur se ormai frequente, costruire gerarchie e criteri di valutazione e di sostegno dell’educazione, della ricerca scientifica e della cultura in generale. Se ammettiamo che compito dell’istruzione avanzata non è insegnare cose utili ma formare e selezionare uomini intelligenti e capaci di comprendere la realtà nel senso più ampio, tutte le gerarchie fondate sui bisogni e le utilità o gli utili immediati non hanno senso…  La cosiddetta critica del testo è il migliore antidoto alla tendenza sempre più diffusa alla lettura superficiale, all’acritica credulità, all’acquiescenza a bufale veicolate, nonostante tutto, da testi scritti.

 

[E poi, per i meno buoni e teneri, aggiungerei quest’altra osservazione, sempre di Tomasin, a proposito delle persone che della letteratura non sanno cosa farsene (pronome pleonastico inutile ma intenzionale, savassandìr), in quanto non è utile:

 

Se gli scrittori di fantascienza si dilettavano nel secolo scorso – e si dilettano ancora, pur se in forme un po’ diverse – a immaginare la presa del potere delle macchine e della rete, divenute entità autocoscienti, tale ipotesi appare oggi tanto avventurosa quanto, a ben vedere, ottimistica. Per il momento, un rischio ben più concreto rispetto all’improbabile governo delle macchine sembra riguardare l’ascesa al potere di persone in carne ed ossa forse meno adatte di tante macchine a ragionare con la complessità e la lungimiranza che certe materie richiederebbero. Cioè i progettisti di macchine.]

 

Ma vi mentirei se non vi rivelassi che lo spunto per andare a riprendere questi passi tratti dal libro di Tomasin mi è venuto da un post di Paolo Nori che ho letto stamattina e che riprende parole di Raffaello Baldini, le quali dicevano, appunto a sproposito, così:

 

tanto è tutta roba che, lo so, non serve a niente, ma se dovessimo buttare via tutto quello che, tutto quello che non serve a niente, non si può, neanche a volere, non si può, uno sguardo, per dire, incontri una bella ragazza, la guardi, a cosa serve? alla televisione, stai a vedere i campionati europei d’atletica, i cento metri, i duecento metri, i quattrocento a ostacoli, il salto in alto, a cosa serve? o quando vengo giù dalla Marecchia, che è già notte, vedo San Marino e Verucchio che è tutta una luce, delle volte mi fermo, si sentono tanti di quei grilli, a cosa serve?

Davide Profumo
Davide Profumo
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