estremità
2 Febbraio 2017un gusto di crostaceo
8 Febbraio 2017La prima cosa che faccio, quando entro in casa di amici, è guardare i loro libri: quelli lasciati sul tavolo del soggiorno, quelli affastellati nella libreria, quelli visibilmente sfogliati, quelli intonsi, quelli ricevuti in regalo e mai aperti, quelli pieni di polvere, che sono stati magari importanti molti anni fa e che ora invece non lo sono più, quelli malridotti, perché non hanno mai smesso di aprirli e sfogliarli… Da quello che i miei amici leggono e non leggono, hanno letto o semplicemente acquistato, io mi vanto di capire qualcosa di loro, qualcosa che magari non è immediatamente decifrabile guardandoli o ascoltandoli o parlando e aspettando che dissentano da me.
È anche per questo che mi è piaciuto molto questo articolo scritto da Sergio Pilu, a proposito delle letture di Barack Obama e di quelle (presunte) di Donald Trump. «Che cosa leggi?» è infatti una domanda che nasconde in sé la più decisiva domanda «Perché leggi?»; la quale a sua volta nasconde molte altre cose, la nostra curiosità per le persone e le loro storie, il nostro senso di abbandono, la voglia inesausta di non sentirci soli… Ma queste sono cose che dice perfettamente Sergio Pilu, senza troppa necessità che le anticipi io.
Piuttosto, se vi chiedeste cosa sto per leggere io oggi pomeriggio, che è un sabato abbastanza libero da tutto, ecco, vi accontento subito (e così capirete un po’ di più il tipo di lettore che sono e questo magari vi farà piacere, non lo so). Ho letto infatti la recensione di un libro di Agamben che parla di Ettore Majorana e mi è venuto il desiderio di rileggere subito La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia, che è proprio il testo da cui Agamben parte per la sua indagine. E poi, forse, nei prossimi giorni leggerò anche il libro di Agamben, e vi farò sapere…
Ma insomma questo è un passo del bel post di Sergio Pilu sulle letture di Obama:
Ma secondo te che libri legge Donald Trump? Perché leggerà qualcosa, no (oltre ai tweet, voglio dire)? Me lo chiedevo qualche giorno fa, leggendo l’intervista che Michiko Kakutani (la boss dei critici letterari del New York Times) ha fatto a Obama su cosa sono i libri per lui. È una bella intervista, parla dei libri che ha consigliato a sua figlia, della sua passione per la scrittura, del tempo tiranno. Niente di straordinario, se vuoi. Però leggi questo passaggio (la traduzione è mia, accontentati): «La maggior parte delle mie letture quotidiane erano briefing e memo e proposte. E così, facendo lavorare tutto il tempo la parte analitica del cervello, a volte mi dimenticavo non solo della poeticità della narrativa, ma anche della sua profondità. La narrativa mi serviva per ricordare le verità che stanno sotto la superficie di ciò che discutiamo tutti i giorni ed era un modo per vedere e ascoltare le voci, le moltitudini di questo paese».
E questo invece è l’inizio della recensione al libro di Agamben che mi ha fatto venire voglia di rileggere subito Sciascia (pensate un po’ che labirinto sono le letture…):
Di Ettore Majorana, fisico italiano originario di Catania, si perse ogni traccia la sera del 25 marzo 1938, alle 22:30, quando si imbarcò da Napoli, città dove insegnava Fisica teorica all’Università Federico II, su un piroscafo diretto in Sicilia, a Palermo. Da quel momento in poi, le notizie sul fisico sono diventate solo delle ipotesi, senza alcun possibile riscontro nella realtà. Di quel giovane professore si interessò anche la rubrica Chi l’ha visto de La Domenica del corriere, descrivendolo come un uomo «di anni trentuno, alto metri 1,70, snello, coi capelli neri, occhi scuri e una lunga cicatrice sul dorso della mano». Nonostante le lunghe e approfondite ricerche, pure Mussolini, dietro pressione di Fermi, si interessò a Majorana promettendo una ricompensa di trentamila lire, nulla si è più scoperto: Ettore Majorana era scomparso per sempre.