24,8 – VII Simposio – La scena terapeutica si apre ai NAO: Il peso dell’evidenza, di Davide Imberti
13 Maggio 2016dettagli
17 Maggio 2016Un articolo interessante di Edoardo Lombardi Vallauri, a proposito di università, fund raising e anche di teoria delle onde. A un certo punto vi si dice così (ma è facile leggerlo tutto, perché non è lungo e propone uno sguardo di cui, abbiamo bisogno, di tanto in tanto):
Che cosa deve produrre l’università? Sapere e capacità. Più ne produce, meglio è. Questo perché una popolazione forte di sapere e capacità sarà più felice, più reciprocamente rispettosa, e anche più ricca. La civiltà e la prosperità dei popoli più civili e più prosperi è direttamente proporzionale al loro tasso di istruzione. Quindi il modo più lungimirante di governare l’università è investirci molti soldi, pretendendo indietro molto sapere e formazione di alto livello. Non è pretendere che si atrofizzi su bilanci striminziti, e concentri ogni suo sforzo nel non andare in perdita. Non è pensare solo a quanto denaro entra e quanto denaro esce, ma a quanto sapere esce. L’università deve essere in grave perdita (economica), per poter rendere al meglio in sapere e capacità. È questo il suo pareggio di bilancio. Altrimenti è inutile. Invece l’università italiana viene governata da vent’anni come se la sola cosa fondamentale fossero i suoi conti economici.
Poi, con assai più leggerezza, un breve apologo che ho trovato sul sito di Paolo Nori a proposito di lavarsi i capelli e di essere gli antichi romani e dell’essere se stessi, anche. Il quale apologo dice così, a un certo punto (e mi è sembrata una cosa bellissima e ovvia, bellissima proprio perché così ovvia):
… io, quando ero adolescente, son stato adolescente anch’io, solo che io non lo sapevo, di essere un adolescente. Come gli antichi romani, che per noi son gli antichi romani, ma loro, di sé, non pensavano mica di essere gli antichi romani.
E ancora, come se ci fossi costretto (ma se fossi in voi non mi fiderei mica), addirittura il consiglio di un libro che magari potrebbe piacervi se cominciate a leggerlo (e poi forse, ripeto: forse, anche quelli precedenti dello stesso scrittore, che sono meglio, dentro, di quanto si possa capire dai loro titoli o dalle quarte di copertina che qualcuno gli ha scritto). Il libro è questo, mi piacque molto tanti anni fa, mi è tornato in mente in queste settimane, ne sto rileggendo dei pezzi.
E infine, come se potesse diventare una specie di abitudine (non lo diventerà) una breve poesia su quello che vedo dalla finestra di casa e non lo solo. La scrisse Vittorio Sereni molti anni fa ed è, in un certo modo, il più breve ritratto di Ulisse che io conosca:
Un ritorno
Sul lago le vele facevano un bianco e compatto poema
ma pari più non gli era il mio respiro
e non era più un lago ma un attonito
specchio di me una lacuna del cuore.