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Le nuove linee guida europee sulle angioplastiche coronariche: cosa cambia nella gestione del paziente con sindrome coronarica acuta?

Le nuove linee guida europee sulle angioplastiche coronariche: cosa cambia nella gestione del paziente con sindrome coronarica acuta?

P. Golino

Il 22 marzo 2005 la Società Europea di Cardiologia (ESC) ha rilasciato le prime Linee Guida Europee sulle angioplastiche coronariche (PCI), disponibili in forma elettronica sul sito Web della Società prima della pubblicazione. Secondo queste Linee Guida, le PCI possono essere oramai considerate come la prima opzione terapeutica per un gruppo di pazienti affetti da sindromi coronariche acute più largo rispetto al passato. I recenti progressi compiuti dalla ricerca in merito ai materiali e agli interventi farmacologici hanno ulteriormente migliorato la sicurezza e l’efficacia delle PCI che adesso possono essere applicate a pazienti con vari tipi di lesioni coronariche. Lo scopo del presente articolo è di fare il punto sulle Linee Guida Europee sulle PCI, sottolineando gli elementi di novità rispetto a quelle precedenti elaborate dalle società americane.

Le Linee Guida dell’ESC sono il risultato di un consenso espresso da una commissione di esperti presieduta dal Prof. Sigmund Silber di Monaco. Alcuni dei punti più salienti delle Linee Guida ESC riguardano i pazienti con SCA e ST sopralivellato: se il paziente perviene in un ospedale dotato di laboratorio di emodinamica entro 12 ore dall’inizio dei sintomi dovrebbe essere PREFERIBILMENTE sottoposto a PTCA primaria se la PTCA stessa può essere organizzata entro 90 minuti dal primo contatto medico, altrimenti la trombolisi deve essere instaurata il prima possibile. Per il sottogruppo di pazienti che si presentano in ospedale entro le prime tre ore dall’inizio dei sintomi, la trombolisi rappresenta una valida alternativa alla PTCA. Altro elemento innovativo è che la trombolisi, tuttavia, NON deve essere considerata un trattamento definitivo: anche se viene ottenuta una riperfusione efficace, essa deve essere seguita da coronarografia ed eventuale angioplastica, se organizzabile entro le 24 ore dalla riperfusione. Vi sono evidenze significative, infatti, che i pazienti riperfusi con successo mediante trombolisi possono ricevere benefici addizionali dalla esecuzione di una coronarografia/angioplastica entro 24 ore.

Altra novità importante riguarda la logistica del network cardiologico. Le Linee Guida ESC sono basate sull’assunto che la maggior parte dei pazienti possono avere un accesso rapido ad un laboratorio di emodinamica, preferibilmente entro 90 minuti dal primo contatto medico. Inoltre, le Linee Guida ESC non richiedono la presenza di una cardiochirurgia “on-site” per i Laboratori di Emodinamica, in considerazione del fatto che un numero sempre più grande di laboratori risulta sprovvisto di tale opzione. Infine, grande enfasi è stata posta sul fattore tempo: non appena il paziente avverte il dolore toracico, specialmente se si tratta di un coronaropatico noto, deve chiamare l’ambulanza. Anche il medico migliore può fare poco o nulla per il paziente se il ritardo terapeutico è troppo ampio.

Sommario delle Linee Guida dell’ESC
Queste Linee Guida si prefiggono l’intento di presentare tutte le evidenze scientifiche di rilievo (evidence-based medicine) con lo scopo di aiutare il medico nella valutazione del rapporto rischio/beneficio delle procedure diagnostiche e terapeutiche nella pratica clinica quotidiana. Tutte le pubblicazioni scientifiche esistenti sull’argomento pubblicate su riviste dotate di meccanismo revisionale cosiddetto “peer-review” sono state valutata dalla commissione ed il distillato di tale lavoro è rappresentato da 44 pagine di raccomandazioni che molto praticamente cercano di rispondere al quesito del quando eseguire una PCI. Segue un sommario di queste raccomandazioni:

1. Per i pazienti con cardiopatia ischemica CRONICA, la PCI può essere considerata una valida opzione di rivascolarizzazione miocardica, specialmente in quel sottogruppo di pazienti che mostrano evidenze oggettive di ischemia di un vasto territorio miocardico. Infatti, in questi pazienti, la PCI è in grado di migliorare la prognosi a medio termine (2 anni) rispetto a pazienti trattati con terapia medica. Queste considerazioni si applicano a tutte le lesioni coronariche, eccetto le occlusioni croniche che non si riescono a crossare con il filo guida.

2. L’impianto di stent (particolarmente gli stent medicati) e l’uso di terapie farmacologiche innovative, soprattutto sul versante antitrombotico (inibitori della Gp IIb/IIIa, Clopidogrel e Bivalirudina) hanno migliorato molto l’efficacia e la sicurezza delle PCI, al punto che la scelta tra PCI e chirurgia coronarica può essere fatta sulla base di fattori locali (esperienza dei vari team) e preferenza da parte del paziente.

3. Al momento, la PCI dovrebbe essere eseguita con cautela nei pazienti diabetici con malattia multivasale e in pazienti con malattia del tronco comune della coronaria sinistra, sebbene lo sviluppo degli stent medicati potrà certamente portare miglioramenti a questa situazione.

4. Poiché la stragrande maggioranza delle PCI si conclude con l’impianto di uno o più stent, in ogni paziente programmato per una PCI si dovrebbe considerare il pretrattamento con clopidogrel. Data la particolare farmacocinetica del clopidogrel, attenzione deve essere posta a somministrare la dose di carico di 300 mg almeno 6 ore prima della PCI. In alternativa, una dose di 600 mg può essere usata direttamente nel Laboratorio di Emodinamica (anche se al momento dell’uscita delle Linee Guida ESC lo studio ARMYDA II non era ancora stato pubblicato).

5. I pazienti che giungono in ospedale con ACS e ST non sopralivellato (angina instabile e infarto miocardico senza sopralivellamento persistente del tratto ST) devono essere stratificati in base al rischio, seguendo parametri clinici ben definiti (es. TIMI Risk Score). Non si ripeterà mai abbastanza che un chiaro beneficio clinico in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari viene osservato nei pazienti sottoposti a PCI precoce (<48 ore) solo a patto che questi abbiano un rischio moderato-severo.

6. A differenza delle Linee Guida delle Società americane, quelle dell’ESC raccomandano l’uso routinario del clopidogrel in tutti i pazienti con ACS e ST non sopralivellato sottoposti a coronarografia ed eventuale PCI, nonostante la possibilità che una esigua percentuale di pazienti debba essere inviata alla cardiochirurgia (classe I, livello di evidenza B).

7. Nei pazienti con ACS e ST non sopralivellato ad alto rischio sembra che l’approccio immediatamente invasivo (<2.5 ore) sia da preferire a quello precocemente invasivo (<48 ore). Queste considerazioni, tuttavia, si basano solo su uno studio clinico randomizzato (classe IIa, livello di evidenza B).

8. In tutti i pazienti con infarto miocardico e ST sopraslivellato che si presentano in un ospedale dotato di Laboratorio di Emodinamica entro 12 ore dall’inizio dei sintomi, la PCI primaria dovrebbe essere il trattamento di scelta.

9. I pazienti con controindicazioni alla trombolisi o in quelli in cui non si hanno segni che la trombolisi è efficace entro 45-60 minuti dal suo inizio dovrebbero essere trasferiti presso un centro dotato di Emodinamica per eseguire una PCI.

10. Nei pazienti che si presentano con shock cardiogeno la PCI primaria può rappresentare una procedura salva-vita e, pertanto, dovrebbe essere precocemente presa in considerazione.

11. Alcuni trial clinici randomizzati hanno dimostrato che il trasferimento di pazienti con infarto acuto per eseguire una PCI primaria si associa ad un outcome clinico migliore, nonostante il ritardo terapeutico associato al trasferimento. Il limite di tale ritardo viene in genere fissato sui 90 minuti.

12. La superiorità della PCI primaria rispetto alla trombolisi sembra essere particolarmente rilevante tra le 3 e le 12 ore dall’insorgenza dei sintomi, dato che si associa ad una maggiore capacità di preservare il miocardio ischemico. Entro le 3 ore invece, ambedue le strategie riperfusive sembrano ugualmente efficaci nel ridurre la necrosi miocardica e la mortalità. Quindi la trombolisi rappresenta una valida alternativa alla PCI primaria solo nelle prime tre ore dall’inizio dei sintomi.

13. La PCI primaria si associa ad una minore incidenza di stroke se paragonata alla trombolisi. Quindi, in generale, nelle prime tre ore la PCI è raccomandata per ridurre l’incidenza di stroke e, tra 3 e 12 ore per preservare il miocardio ischemico e prevenire lo stroke.

Bibliografia
Silber S et al. Guidelines for percutaneous coronary interventions. The Task Force for Percutaneous Coronary Interventions of The European Society of Cardiology. Eur Heart J 2005; 26 (8): 804-47 (epub 2005, Mar 15)

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