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Gli eventi ricorrenti nei pazienti randomizzati nel prove it timi 22: la atorvastatina conferma la propria superiorità rispetto alla pravastatina

Gli eventi ricorrenti nei pazienti randomizzati nel prove it timi 22: la atorvastatina conferma la propria superiorità rispetto alla pravastatina

Dott. Marco Tubaro
Unità Coronarica – Dipartimento Cardiovascolare
Ospedale San Filippo Neri – Roma

 

Il lavoro di Sabina Murphy e coll. costituisce un’analisi interessante, ancorchè non pre-specificata e quindi a carattere soprattutto esplorativo, dello studio molto noto sull’atorvastatina ad alte dosi nelle sindromi coronariche acute (SCA) denominato PROVE IT-TIMI 22.1
Questo lavoro confrontava, in modo randomizzato, la somministrazione giornaliera di 40 mg di pravastatina (P40) con quella di 80 mg di atorvastatina (A80), in un campione di 4162 pazienti che avessero avuto una SCA (sia STEMI sia NSTEACS) nei 10 giorni precedenti. L’end-point clinico primario (ECP) era costituito da mortalità totale, IMA, angina instabile richiedente l’ospedalizzazione, una procedura di rivascolarizzazione eseguita dopo i primi 30 giorni e l’ictus. Il follow-up è stato di 24 mesi. La mediana del colesterolo LDL veniva ridotta in misura maggiore da A80 (62 vs. 95 mg/dl) e questa riduzione si associava a una riduzione del rischio assoluto dell’ECP del 3.9% (22.4 vs 26.3 %) e di quello relativo del 16%, rispetto a P40.
Lo studio PROVE IT-TIMI 22 ha fornito i dati principali in favore dell’indicazione a una terapia precoce con statine nelle SCA; tuttavia, bisogna sottolineare che la mediana del tempo di randomizzazione è stata di 7 giorni, per cui il PROVE IT non è propriamente uno studio di fase acuta nelle SCA.
Il lavoro della Murphy e coll.2 prende in esame la riduzione degli eventi ricorrenti nei pazienti con SCA, un end-point inusuale negli studi clinici: infatti abitualmente, nelle comuni analisi statistiche degli studi clinici randomizzati, nei pazienti che abbiano già sperimentato un primo evento facente parte dell’ECP, gli eventi successivi non vengano considerati (“censored”) per l’analisi, pur rimanendo i pazienti a rischio di eventi multipli nel corso del follow-up. Questa tipologia di analisi statistica ha alcuni punti di debolezza: il trattamento potrebbe ridurre l’incidenza di un singolo evento che fa parte dell’ECP, ma accrescerne quella di un altro; inoltre, i singoli eventi possono avere un impatto molto diverso in relazione agli esiti della malattia (es: se il paziente ha prima un piccolo infarto e successivamente un evento mortale, il secondo non viene considerato nell’analisi); infine, i singoli eventi possono avere un impatto molto diverso sulla qualità di vita del paziente e sui costi sanitari.
E’ peraltro evidente come, dal punto di vista clinico, sia i medici, sia i pazienti ed anche le autorità sanitarie siano interessati a tutti gli eventi che si verifichino durante il follow-up e non solo al primo. Inoltre, ancora dal punto di vista clinico può non essere inutile ricordare come già il primo evento dell’ECP sia già un evento ricorrente, in quanto successivo all’evento-indice che ha condotto il paziente all’arruolamento nello studio. Di conseguenza, gli eventi ricorrenti al follow-up sono già terzi o quarti eventi nella storia clinica del paziente e questo conferma la gravità clinica della patologia in questione e il margine ancora ampio di ulteriore intervento che i clinici conservano nel trattamento delle SCA.
I pazienti che hanno presentato eventi multipli avevano maggiori fattori di rischio di base (inclusi ipertensione, diabete e ipercolesterolemia) e più spesso l’angina instabile come evento-indice. Anche gli eventi successivi sono stati ridotti da A80 rispetto a P40 (275 vs 340 eventi), con una riduzione del 15% del totale degli eventi al follow-up (vedi figura 1).
In realtà, il numero di morti, infarti o ictus non è stato diverso con A80 e P40: la maggioranza degli eventi ulteriori ridotti da A80 era costituita da angina instabile richiedente il ricovero ospedaliero e una procedura di rivascolarizzazione. La quota di interruzione permanente della terapia non è stata significativamente diversa nei due gruppi.
Una “landmark analysis” può essere sempre utile nella valutazione dei risultati di un trial, consentendo di distinguere tra benefici precoci e tardivi e di valutare il reale impatto degli eventi multipli sugli anni di vita salvati corretti per la qualità.
Questa tipologia di analisi è stata applicata anche da La Rosa e coll. allo studio TNT3, che confrontava A80 e atorvastatina 10 mg (A10) in pazienti con angina stabile cronica. L’A80 riduceva il rischio relativo non solo del primo evento ricorrente, ma anche di tutti gli eventi successivi (fino al quinto). Egualmente, nello studio IDEAL4, l’A80 riduceva il rischio degli eventi cardiovascolari ricorrenti (dal primo al quinto), in confronto alla terapia standard con simvastatina 20-40 mg.
L’analisi tradizionale del tempo al primo evento è statisticamente robusta ed utile per confrontare l’outcome dei pazienti nei vari studi. Tuttavia, l’analisi limitata al primo end-point può sottostimare in modo significativo il rischio clinico totale degli eventi cardiovascolari. Inoltre, la considerazione anche degli esiti successivi al primo verificarsi di un componente dell’ECP riduce in modo significativo il “number needed to treat” che, ad esempio, nel PROVE IT diventa 14. 5
Dal punto di vista “trialistico”, la sola analisi del tempo al primo evento consente a ciascun paziente di contribuire in modo eguale all’outcome generale ed evita una sovrastima degli effetti dell’intervento oggetto dello studio stesso; inoltre, la maggior parte degli eventi si concentra comunque nelle fasi iniziali dello studio. Infine, l’utilizzo di componenti “soft” di end-point compositi, come indicatori di eventi ricorrenti, può comportare problemi di affidabilità nell’aggiudicazione degli eventi. Tuttavia, dal punto di vista clinico, la ricorrenza degli eventi può rivestire una notevole importanza, esplorando in modo completo i possibili vantaggi dell’intervento terapeutico oggetto del trial clinico; è indicato, comunque, conservare la serie degli end-point “hard” (morte, infarto,ictus), con l’aggiunta dei soli end-point ulteriori clinicamente significativi (es. riospedalizzazione per ricorrenza di angina o per rivascolarizzazione).
In conclusione, l’analisi degli eventi clinici ricorrenti, successivi all’eventi indice e anche a un secondo evento che sia componente dell’ECP, costituisce un approccio clinico innovativo, vicino al senso comune sia dei medici sia dei pazienti, che consente di valutare con maggiore precisione l’impatto complessivo di un dato intervento terapeutico sull’outcome dei pazienti, in termini sia di morbilità sia di mortalità totale e cardiovascolare.

Bibliografia:

1) Cannon CP, Braunwald E, McCabe CH et al for the PROVE IT-TIMI 22 Investigators. INtensive
vs. moderate lipid lowering with statins after acute coronary syndromes. N Engl J Med 2004;350:
1495 -1504.
2) Murphy SA, Cannon CP, Wiviott SD, McCabe CH, Braunwald E. Reduction in recurrent cardio-
vascular events with intensive lipid lowering statin therapy compared with moderate lipid lowe-
ring statin therapy after acute coronary syndromes. J Am Coll Cardiol 2009;54:2358-2362.
3) La Rosa JC, Deedwania PC, Sheperd J et al. on behalf of the TNT investigators. Comparison of
80 versus 10 mg of atorvastatin on occurence of cardiovascular events after the first event (for
the Treating to New Target [TNT] trial). Am J Cardiol 2010;105:283-287.
4) Tikkenen MJ, Szarek M, Fayyed R et al. for the IDEAL Investigators. Total cardiovascular disea-
se burden: comparing intensive with moderate statin therapy: insights from the IDEAL (Incremen
tal Decrease in End Points through Aggressive Lipid lowering) trial. J Am Coll Cardiol 2009;54:
2353- 2357.
5) Nissen SE. Cardiovascular outcomes in randomized trials: should time to first event for “hard”
composite endpoints remain the standard approach? J Am Coll Cardiol 2009;54:2363-2365.

 

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