La stratificazione del rischio di stroke nei pazienti con fibrillazione atriale
31 Gennaio 2011Effects of atorvastatin and rosuvastatin on thromboxane-dependent platelet activation and oxidative stress in hypercholesterolemia
2 Marzo 2011È possibile oggi prevedere quale lesione coronarica andrà incontro a instabilizzazione? I dati dello studio prospect
V. Toschi
Emostasi e Trombosi
AO Ospedale San Carlo Borromeo, Milano
Studi anatomo-clinici hanno dimostrato che le placche coronariche maggiormente trombogeniche e quindi più frequentemente causa di sindromi coronariche acute (angina instabile e infarto miocardico con o senza elevazione del tratto ST) sono quelle caratterizzate da un variabile grado di restringimento del lume del vaso e dalla presenza di un sottile cappuccio fibroso che, andando incontro a rottura, determina esposizione del materiale necrotico-lipidico presente all’interno della placca, sulla superficie del quale avviene la attivazione piastrinica e quella della cascata coagulativa con formazione di un trombo totalmente o parzialmente occlusivo1-3.
Grazie ai progressi compiuti in questi ultimi anni negli interventi di angioplastica per via percutanea e nel trattamento farmacologico di tali lesioni, si è assistito ad un significativo miglioramento nella prognosi di questi pazienti4. Tuttavia una quota non trascurabile di tali soggetti, variabile tra il 10 ed il 15% dei casi, va incontro ad una recidiva di eventi cardiovascolari maggiori. La ricorrenza di un evento ischemico coronarico può essere secondaria a recidiva di trombosi a livello del vaso responsabile del primo episodio ischemico, oppure a instabilizzazione di un’altra placca aterosclerotica situata in una sede diversa del letto coronarico, in precedenza non evidenziata. Studi retrospettivi hanno d’altra parte dimostrato che la maggioranza delle lesioni coronariche capaci di andare incontro a complicazione ed essere quindi successivamente responsabili di una sindrome coronarica acuta, sono di aspetto benigno ad un primo esame angiografico5,6. In accordo con tale osservazione, le cause locali che determinano instabilizzazione di una placca aterosclerotica sono ancora largamente sconosciute ed oggetto di attiva ricerca sperimentale. Il primo studio prospettico che dimostra la storia naturale della aterosclerosi coronarica, dall’insorgenza di un primo episodio ischemico fino alla evenienza di una recidiva, e che correla la ricorrenza aterotrombotica con una possibile causa locale associata alla placca coronarica e alla presenza di un fattore di rischio sistemico, è lo studio PROSPECT, recentemente pubblicato su New England Journal of Medicine7. Lo studio, che ha suscitato un notevole interesse nella comunità scientifica internazionale, ha coinvolto 697 pazienti provenienti da 37 centri ed ha valutato, durante un follow up medio di oltre 3 anni, il ruolo di differenti lesioni coronariche evidenziate contemporaneamente con tre differenti metodi – l’angiografia coronarica, l’ultrasonografia intravascolare con scala dei grigi e l’ultrasonografia a radiofrequenza – nell’insorgenza della recidiva ischemica in oltre 3100 lesioni. Più in dettaglio, lo studio PROSPECT si proponeva di verificare se la recidiva è più frequentemente secondaria alla progressione della lesione a carico del vaso originariamente trattato, responsabile del primo episodio trombotico (culprit) o, al contrario, alla instabilizzazione di un segmento coronario originariamente non trattato (nonculprit). Inoltre, grazie ai vantaggi consentiti dalla metodologia ultrasonografica, lo studio si proponeva di caratterizzare la morfologia e la composizione tissutale delle lesioni aterosclerotiche più frequentemente responsabili degli episodi di ricorrenza ischemica. La metodologia ultrasonografica intravascolare, in particolare, è in grado infatti di evidenziare la presenza dei depositi di calcio, di quantificare l’entità del core necrotico-lipidico, di misurare lo spessore del cappuccio fibroso, dell’area del vaso occupata dalla placca ed infine, dell’area corrispondente al lume del vaso. Lo studio PROSPECT, infine aveva come obiettivo anche quello di identificare quale dei fattori sistemici fosse maggiormente correlato con la ricorrenza di eventi. I risultati della sperimentazione, iniziata nell’ottobre 2004 e conclusasi nel giugno 2008, danno un quadro assai preciso della storia naturale della malattia aterosclerotica coronarica. I dati dello studio evidenziano infatti che, dopo un primo episodio coronarico, l’incidenza cumulativa a 3 anni di eventi cardiovascolari maggiori (morte cardiaca, arresto cardiaco, infarto miocardico o reospedalizzazione per angina instabile) era pari al 20.4%. Di questi, gli episodi coronarici attribuibili a complicazione della lesione culprit, trattata in occasione del primo episodio, era del 12.9%, mentre quelli legati ad instabilizzazione di una placca coronarica presente in un distretto differente dell’albero coronarico (nonculprit) era pari all’11.6% dei casi. E’ interessante rilevare che la maggior parte delle lesioni nonculprit in occasione del primo evento ma che erano state successivamente responsabili di una ricorrenza ischemica durante il follow up, erano angiograficamente di aspetto benigno e capaci di determinare una stenosi di grado assai modesto. Al contrario, tali lesioni erano, all’indagine ultrasonografica, caratterizzate, dalla presenza di un sottile cappuccio fibroso associato ad elevato quantitativo totale di materiale necrotico-lipidico presente all’interno della placca (plaque burden), corrispondente al 70% o più della lesione, e/o ad un’aerea luminale inferiore o uguale a 4 mm2 o dall’associazione di tutte e tre le alterazioni descritte. Tali alterazioni erano quelle che si rivelavano i più importanti fattori predittivi locali per un secondo evento coronarico. L’hazard ratio per i 4 tipi di lesione era infatti: 3.90 per le lesioni caratterizzate solamente da assottigliamento del cappuccio fibroso, 6.55 per quelle in cui vi era associazione tra assottigliamento del cappuccio fibroso e ridotta area del lume del vaso, 10.82 per quelle in cui vi era associazione tra assottigliamento del cappuccio fibroso ed elevato carico necrotico-lipidico della placca e, infine 11.05 per le lesioni caratterizzate da assottigliamento del cappuccio fibroso, abbondante carico lipidico-necrotico e riduzione dell’area del lume del vaso. Tra i fattori predittivi sistemici, quello maggiormente correlato con l’incidenza di recidiva era la presenza di diabete insulino-dipendente. I risultati dello studio consentono alcune importanti considerazioni. La prima è che in circa la metà dei pazienti che presentano una recidiva di ischemia coronarica, il vaso responsabile di quest’ultimo evento non è quello coinvolto in occasione del primo episodio. All’indagine angiografica eseguita in coincidenza del primo episodio ischemico, tale vaso appare infatti solo lievemente interessato dalla malattia aterosclerotica. L’indagine ultrasonografica sembra invece in grado, già in occasione del primo episodio coronarico, di identificare quelle lesioni che potranno successivamente andare incontro a instabilizzazione e rendersi responsabili di una ricorrenza coronarica, chiarendo in modo definitivo i limiti dell’indagine angiografica. Un secondo elemento di estremo interesse è che lo studio conferma in modo assai convincente i dati forniti dagli studi autoptici, ed in particolare la correlazione tra quadro istologico della lesione (caratteristiche del cappuccio fibroso, quantità e caratteristiche del core lipidico, grado di stenosi del vaso), outcome clinico del paziente1,8 e i dati forniti dalla metodica ultrasonografica intravascolare, suggerendo che questa metodologia possa essere in futuro più estesamente applicata nella pratica clinica corrente. Un ultimo elemento è rappresentato dalla conferma del significato prognostico negativo rappresentato dal diabete, indicando l’importanza di un controllo metabolico ottimale nella prognosi a distanza dei pazienti con malattia coronarica.
Bibliografia
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