Focus on – Corner lipidologico – HDL e rischio cardiovascolare: una questione di qualità
Maria Pia Adorni, Franco Bernini
Dipartimento di Scienze Farmacologoiche, Biologiche e Chimiche Applicate – Università Di Parma
Le dislipidemie sono tra i più importanti fattori di rischio modificabili per lo sviluppo dell’aterosclerosi. Le statine rappresentano il trattamento farmacologico di prima linea nel trattamento dell’ipercolesterolemia e si sono rivelate in grado di ridurre la morbilità di oltre il 40% sia in studi di prevenzione primaria che secondaria. Nonostante questo indubbio successo, permane la necessità di nuovi approcci terapeutici per ridurre il rischio residuo. Studi epidemiologici e sperimentali sono concordi nel dimostrare una forte correlazione inversa tra i livelli sistemici di colesterolo HDL e l’incidenza di malattie cardiovascolari e ictus (1). Tuttavia, diverse osservazioni hanno messo in dubbio il reale ruolo delle HDL quale fattore protettivo nell’aterosclerosi. Esistono, infatti, condizioni di basse HDL che non correlano con un effettivo aumento del rischio cardiovascolare e viceversa soggetti con alte HDL determinate da fattori genetici non appaiono protetti. Inoltre, terapie farmacologiche mirate ad aumentare i livelli di HDL hanno dato risultati opposti a quelli sperati. A questo proposito, l’ampio trial clinico ILLUMINATE (Investigation of Lipid Level Management to Understand Its Impact in Atherosclerotic Events) condotto con l’inibitore della CETP, torcetrapib, il cui endpoint primario era l’incidenza di morte cardiovascolare, infarto non fatale del miocardio o ictus, è stato interrotto precocemente per l’aumento di mortalità nei soggetti trattati nonostante il significativo incremento dei livelli circolanti di HDL (2,3). Tuttavia, due nuovi inibitori della CETP, anacetrapib e dalcetrapib, anch’essi efficaci nell’aumentare i livelli di HDL, non hanno mostrato gli effetti avversi osservati col torcertrapib (4,5) suggerendo quindi che non siano effetti di classe, ma siano piuttosto il risultato di meccanismi off target specifici della molecola. Inoltre, il recente studio HARBITER-6, mostra come in pazienti in terapia con statine l’associazione di acido nicotinico a rilascio prolungato, farmaco in grado di aumentare le HDL, si associa a una riduzione dell’IMT carotideo. Questo effetto non è stato osservato, a parità di riduzione delle LDL, associando alla statina ezetimibe, non attiva sulle HDL. I risultati di questo studio supportando quindi il concetto che un aumento delle HDL con una terapia farmacologica possa effettivamente ridurre il rischio residuo (6).
Una possibile spiegazione dei risultati apparentemente contrastanti sul ruolo delle HDL quale fattore protettivo dall’aterogenesi deriva dall’osservazione che la maggior parte degli studi disponibili sulla correlazione tra HDL e rischio cardiovascolare considera la quantità di colesterolo HDL plasmatico, senza tenere conto della qualità e distribuzione delle diverse frazioni di HDL e quindi della loro funzionalità in termini di attività protettiva. Questo fattore è decisivo in considerazione della grande eterogeneità di questa classe lipoproteica.
Numerose sono le proprietà funzionali delle HDL e il principale meccanismo ateroprotettivo appare legato alla capacità di questa classe lipoproteica di rimuovere il colesterolo presente in eccesso nei tessuti periferici e quindi anche nelle lesioni aterosclerotiche e di rilasciarlo al fegato per la sua eliminazione fungendo così da veicolo nel cosiddetto trasporto inverso del colesterolo (RCT). Il primo passaggio limitante di questo processo è il rilascio (efflusso) di colesterolo dalle cellule alle HDL. Un importante fattore che determina l’efficienza dell’efflusso cellulare di colesterolo è la capacità delle singole frazioni delle HDL presenti nel siero di legarsi a specifici recettori/trasportatori coinvolti nei meccanismi di efflusso e di agire da accettori extracellulari di colesterolo (7). Ne consegue che la differente qualità delle HDL si traduce in una differente azione ateroprotettiva e quindi la valutazione delle sottofrazioni di HDL o la loro funzionalità è probabilmente il vero fattore predittivo del rischio cardiovascolare rispetto alla semplice misurazione dei livelli di colesterolo HDL (8). A supportare il concetto per cui la qualità e la funzionalità di tali lipoproteine, e non la quantità, sono importanti nella protezione cardiovascolare, sono i casi di soggetti portatori della mutazione dell’apoA-I Milano e del deficit di LCAT. Questi soggetti, pur avendo livelli di colesterolo HDL molto ridotti, non presentano aterosclerosi subclinica e non sono associati ad aumentato rischio di malattie cardiovascolari. Nei nostri studi abbiamo dimostrato come la capacità di promuovere l’efflusso di colesterolo del siero di questi soggetti, indice della funzionalità delle HDL, è significativamente maggiore di quella di sieri ottenuti da soggetti controllo con HDL più elevate. La miglior funzionalità del siero di questi soggetti è attribuibile alla presenza nel plasma di alti livelli di una specifica frazione delle HDL, le preβ-HDL, molto efficienti nel promuovere l’efflusso di colesterolo attraverso il trasportatore ATP binding transpoter A1 (ABCA1) (9,10). Un recentissimo studio ha dimostrato come la capacità del siero dei soggetti analizzati di promuovere l’efflusso di colesterolo dai macrofagi, è inversamente associata all’ispessimento medio intimale (IMT) carotideo e alla presenza di stenosi coronarica rilevata tramite angiografia indipendentemente dai livelli plasmatici di HDL (11). L’insieme di queste osservazioni fornisce una possibile spiegazione del perché non sempre l’aumento di HDL si traduce in un effetto ateroprotettivo (12,13). La qualità funzionale delle HDL ha probabilmente un impatto più importante nel determinare il rischio cardiovascolare all’interno di una popolazione rispetto al livello assoluto di HDL nel plasma. Questa considerazione solleva nuove problematiche nello sviluppo di una strategia per ridurre il rischio residuo attraverso le HDL e nello sviluppo di nuove terapie mirate a promuovere l’attività biologica delle HDL è necessario considerarne l’effetto in termini di qualità e funzionalità e non solo di quantità (14).
Bibliografia